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Dossier La svolta hi-tech c’è ma serve continuità

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    Dossier | N. (none) articoliRapporto Impresa 4.0

    La svolta hi-tech c’è ma serve continuità

    Paese che vai, modello 4.0 che trovi. La quarta rivoluzione industriale è un fenomeno globale e tutti i Paesi manifatturieri negli ultimi anni hanno provato a cavalcarla, avviando piani di sviluppo digitale delle imprese con caratteristiche diverse, perché differenti sono i sistemi produttivi e il livello di applicazione delle tecnologie.

    La differenza principale riguarda la struttura industriale di partenza delle diverse economie. La Germania è il Paese dove hanno sede i grandi produttori di tecnologie per l’automazione, che hanno favorito un’ampia diffusione di questi sistemi tra tutte le imprese. Non a caso, qui è stata coniata l’espressione “Industrie 4.0” e prima che altrove si è sviluppata la consapevolezza diffusa dell’importanza dell’adozione della tecnologia a tutti i livelli, in tutti i settori. La Francia si distingue per filiere industriali con grandi gruppi capofiliera che guidano l’innovazione tra le Pmi, seppure con una capacità di produzione di innovazione tecnologica non al livello tedesco. L’Italia presenta filiere molto articolate, composte principalmente da Pmi, con un’innovazione distribuita a macchia di leopardo: abbiamo livelli molto avanzati di utilizzo di tecnologie nel settore delle macchine utensili e in generale negli ambiti manifatturieri dei beni strumentali, meno (pur con qualche importante eccezione) di impiego di tecnologie “soft” per il controllo degli impianti e dell’Ict.

    In questo scenario, sarebbe sbagliato parlare di “ritardo” italiano: il livello di adozione di tecnologia di tante nostre Pmi è molto alto. Ma rispetto alla Germania scontiamo la mancanza di due asset fondamentali: il sistema della ricerca che favorisce la diffusione tecnologica, e l’offerta formativa delle “Fachschule”, capace di formare migliaia di tecnici specializzati. La creazione dei competence center è la risposta italiana ai “Fraunhofer” che ci permetterà di recuperare terreno, mentre sulla formazione dei tecnici dobbiamo ancora migliorare perché ad oggi non è stato compiuto un investimento significativo per gli Its.

    Fuori dall’Europa, gli Usa, leader indiscussi nelle piattaforme digitali, nel corso degli anni hanno visto gli investimenti orientarsi sull’Ict, ma anche fatto i conti con la deindustrializzazione per effetto di molte delocalizzazioni che hanno impoverito le competenze manifatturiere. Questo rappresenta una grande opportunità per l’Italia, perché gli Usa sempre di più andranno alla ricerca del know-how industriale necessario per sostenere il loro sviluppo 4.0 in Europa o in Paesi come Corea e Giappone: dobbiamo presidiare un ambito, in cui abbiamo un importante vantaggio competitivo rispetto alla pur avanzata economia americana.

    Partendo da condizioni diverse, negli ultimi anni tutti i Paesi manifatturieri hanno sviluppato loro Piani 4.0. La Germania, indirizzata da aziende leader mondiali per l’automazione, ha messo le tecnologie a sistema per le sue imprese. Ha investito pochi soldi, ma è riuscita a costituire attraverso Industria 4.0 il marketing del suo sistema produttivo: ogni impresa si presenta all’estero come innovativa, semplicemente in quanto tedesca, anche se per niente 4.0. La Francia ha individuato 12 filiere industriali funzionali all’introduzione delle tecnologie: la presenza di grandi imprese che indicano la strada nel prossimo futuro potrebbe essere un elemento di vantaggio competitivo importante, perché queste sono capaci di obbligare le Pmi alla trasformazione digitale per restare all’interno della filiera. Gli Usa, per cultura contrari al sostegno diretto alle imprese, hanno puntato sulla costruzione di grandi centri di competenza nazionali, un’idea in parte ripresa nel nostro modello.

    L’Italia si è mossa bene. Sfruttando l’onda della quarta rivoluzione industriale ha costruito un piano 4.0 centrato sugli utilizzatori delle tecnologie: sulle imprese, con il super e iper ammortamento della prima parte del programma, e sulle persone, con il sostegno alla formazione della seconda parte, che può davvero essere il boost per l’adozione delle tecnologie. I risultati delle misure fiscali di questi primi anni sono positivi. Ma deve essere chiaro un punto: gli incentivi non possono e non devono esaurirsi qui. Perché non tutte le imprese hanno potuto beneficiarne, chi per mancanza di competenze, chi per mancanza di budget. E perché sarebbe pretenzioso pensare che quanto fatto sia sufficiente a recuperare il gap di produttività accumulato negli anni passati.

    Per continuare a correre nella sfida globale della quarta rivoluzione industriale, l’Italia deve proseguire sulla strada del Piano Impresa 4.0. Non si modifichi l’impianto, basato su tecnologie e skills, che ha mostrato di produrre i suoi frutti. E non si disperda l’importante valore d’immagine: oggi il mondo sa che le imprese italiane sono esempi di eccellenza nell’uso delle tecnologie, nei prossimi anni le aziende devono continuare a sfruttare il brand 4.0 per presentarsi all’estero.

    L’autore è docente del Politecnico di Milano
    School of Management Manufacturing Group

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