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Dossier Una Pmi «evoluta» su due investe nelle tecnologie smart

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    Dossier | N. (none) articoliRapporto Impresa 4.0

    Una Pmi «evoluta» su due investe nelle tecnologie smart

    L’83% delle imprese artigiane ha un’ottima consapevolezza delle opportunità offerte dal Piano Industria 4.0 (ora Impresa 4.0); il 50% ha già effettuato investimenti in questa direzione, soprattutto nella robotica collaborativa (32%) e nei sistemi per l’integrazione (20%); ancora maggiore la quota di microimprese interessate ad acquisire nuove tecnologie 4.0: il 78% del totale, con l’apertura anche a frontiere finora poco esplorate in fabbrica, come il cloud, la cybersecurity, il big data analytics. E c’è quasi un quarto delle aziende artigiane (24%) protagonista diretto del 4.0 che progetta o sviluppa tecnologie innovative, soprattutto sistemi per l’integrazione (39%) e IoT (33%).Sono risultati ben oltre le attese quelli emersi dal check-up appena concluso da Cna su oltre 250 associate in Emilia-Romagna, per misurarne il livello di maturità tecnologica, sulla scia del progetto pilota Cna hub 4.0, partito sulla via Emilia lo scorso dicembre e che il prossimo 22 marzo sarà presentato su scala nazionale, con oltre 50 province coinvolte.

    I numeri della più aggiornata indagine disponibile sul grado di digitalizzazione di artigiani e microimprese sono la fotografia della punta eccellente del sistema Cna nella regione-laboratorio del 4.0: l’Emilia-Romagna (assieme alla Lombardia) è palestra e benchmark nazionale delle tecnologie abilitanti nelle Pmi, in quanto epicentro di filiere pioniere delle smart-tech come meccanica e ceramica. Il quadro può essere ritenuto predittivo del cambiamento in atto in tutto il Paese. «Abbiamo creato un network coordinato centralmente di Digital innovation hub (i cluster tecnologici previsti dal piano Calenda per creare nei territori un ponte tra impresa, ricerca e finanza, ndr), uno per ogni provincia, dove gli imprenditori trovano supporto per la trasformazione digitale dell’azienda, dalle tecnologie ai modelli organizzativi, per accelerare il processo di allineamento delle microrealtà agli standard della capofiliera», spiega Marcella Contini, coordinatrice di Cna Innovazione Emilia-Romagna. «Nel Centro-Nord Italia siamo arrivati ora a 50 province coperte dai nostri Dih 4.0 – aggiunge Mario Pagani, responsabile nazionale Politiche Industriali Cna – il prossimo passo sarà sviluppare rete e competenze al Centro-Sud, che è più in ritardo. La metamorfosi 4.0 è invasiva e velocissima e le tecnologie sono ora accessibili a tutti in termini di costi. Dobbiamo evitare che le piccole aziende siano (spesso inconsapevolmente) espulse dal sistema».

    A Parma il punto sui processi in atto

    La riprova dell’accelerazione in atto sul tema 4.0 arriva dai dati rilevati su scala nazionale (e tra imprese di ogni dimensione) dall’Osservatorio Mecspe 2018, l’annuale indagine che sarà presentata in occasione dell’omonima fiera sulla filiera meccanica e la fabbrica digitale, specializzata nella subfornitura (le Pmi sono oltre la metà dei 2mila espositori) che si svolgerà a Parma dal 22 al 24 marzo. Nel giro degli ultimi 12 mesi – rileva la survey – la quota di imprese che hanno adottato tecnologie per la sicurezza informatica è salita di 20 punti (oggi sono il 59,9%); il 28,6% (erano al 12,9% nel 2017) ha introdotto soluzioni IoT; il 19% (dal precedente 10,5%)produzione additiva ed è raddoppiato il numero di chi utilizza i big data (oggi oltre il 16%). «È almeno dieci anni che lavoriamo sulle tecnologie abilitanti, i progressi si vedono negli spazi occupati dalla fiera: siamo partiti con due padiglioni e oggi è tutto esaurito – dice Maruska Sabato, project manager di Mecspe –. Anche se di dimensioni minori rispetto ai competitor tedeschi, i subfornitori italiani oggi non hanno nulla da invidiare per tecnologie adottate e hanno il vantaggio di essere più flessibili. C’è invece ancora molto da lavorare sull’organizzazione complessiva della fabbrica in logica lean 4.0 e sulla formazione. Bisogna partire dalla scuola dell’obbligo per far crescere la cultura digitale».

    Un orizzonte triennale

    Insomma, piccole aziende e subfornitori – spina dorsale dell’industria italiana – si stanno avvicinando, anche se in ritardo rispetto alle grandi e con profonde differenze lungo lo Stivale, ai temi del 4.0, «ma ci vorranno ancora tre anni, penso al 2020 come traguardo, per vedere gli effetti della disseminazione di competenze nel Paese. Oggi le tecnologie sono mature, gli strumenti fiscali ci sono, ma sono poche le imprese davvero 4.0 e sono quelle che hanno iniziato a muoversi diversi anni fa. È mancato un ruolo leader di trascinatore da parte delle capofiliere sulle Pmi, come avvenuto in Francia e Germania», interviene Massimo Zanardini del Rise (Research and innovation for smart enterprises) dell’ateneo di Brescia. L’ultima indagine campionaria sull’adozione di smart tech del Rise rileva che le fabbriche smart (con almeno 4 tecnologie abilitanti utilizzate) sono appena il 5% del totale e di queste solo 1 su 5 è una Pmi. «Il grande pregio del piano Impresa 4.0 è che ha portato la digitalizzazione a un livello della fabbrica in cui gli imprenditori, anche i piccoli, riescono a capirne i vantaggi, perché la system integration (che mette le macchine in comunicazione tra loro) permette di misurare produttività, efficienza, guasti - afferma Alessandro Marini di Afil (Associazione fabbrica intelligente Lombardia, il cluster tecnologico lombardo per il manifatturiero avanzato) -. Capiti i vantaggi, l’imprenditore allinea tutti processi di fabbrica al linguaggio digitale. Il vero problema, oggi, non è il ritardo su Competence center e Dih, che reputo strumenti di marketing, ma la carenza di profili tecnici e consulenti 4.0».

    Piccoli sempre più certificati

    A confermare i progressi delle Pmi sul 4.0 sono anche gli attori della certificazione, obbligatoria per usufruire dell’iperammortamento sopra i 500mila euro. «Molte aziende fanno richiesta per valori ben al di sotto di tale soglia, come una sorta di controllo qualità del proprio operato e altre chiedono audit personalizzati per valutare le conformità dell’investimento individuato: siamo rimasti sorpresi dal grado di maturità delle Pmi italiane», afferma Flavio Ornago, direttore Management system di Imq. E Danilo Cattaneo, ad di InfoCert-Gruppo Tecnoinvestimenti, conclude: «Le Pmi, finora, hanno usato la digitalizzazione per rispondere a bisogni di adeguamento normativo con strumenti quali Pec, firma digitale, fatturazione elettronica. Oggi, con il 4.0, iniziano invece a chiedere soluzioni che rafforzino sicurezza e integrità nello scambio dei dati necessari a un processo produttivo e quindi anche alle transazioni machine-to-machine».

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