Economia

Ilva, ora un test di realismo industriale

  • Abbonati
  • Accedi
il caso

Ilva, ora un test di realismo industriale

E ora? E, ora, l’unica cosa certa è che si entra – per l’ennesima volta – in terra incognita. Come sempre, sarà qualcun altro a doversi occupare di Ilva. Nello specifico, il prossimo governo. Sarà in possesso della virtù politica – e del dovere civico – del realismo? Vedremo. Fin dall’arresto di Emilio Riva, la vicenda dell’acciaieria di Taranto è stata sottoposta a tali e a tanti incognite che l’equazione imbastita di volta in volta per provare a risolvere il problema non ha mai dato il risultato giusto.

Ieri le valutazioni dei sindacati sono state differenti. Per alcuni di essi, il documento prospettato dal governo, che peraltro ha messo sul tavolo mezzi non paragonabili a qualunque altra vertenza degli ultimi vent’anni, era debole e incompleto. Per altri, le garanzie erano poche e mal specificate. Per altri ancora, un esecutivo agli sgoccioli non disponeva del potere – anzi, della legittimità – a definire un accordo destinato a incidere in maniera tanto profonda sulla riconfigurazione di quello che è stato uno dei principali produttori di acciaio del mondo. Ma tutti - inclusa la Fim Cisl di Marco Bentivogli - sono stati d’accordo a segare le gambe del tavolo. A questo punto, si riparte da un foglio bianco. Un foglio bianco che è anche l’esito della cancellazione delle ipotesi collaterali che, come addendum del documento prospettato ieri dal governo e rifiutato dai sindacati, riguardavano le misure a favore dell’indotto e il calumet della pace fra esecutivo, Arcelor Mittal e comune di Taranto. La prima incognita è rappresentata da che cosa i prossimi inquilini di Palazzo Chigi decideranno di fare con l’Ilva. E in quali tempi tecnici. La teniamo aperta o la chiudiamo? Scusate la brutalità. La seconda incognita è la compatibilità, sul medio periodo, del caos italiano con le regole di conduzione e con gli interessi strategici di un gruppo quotato come Arcelor Mittal. La terza incognita sono i soldi dei commissari che stanno finendo. La quarta incognita riguarda la tenuta della fabbrica. La quale, senza un vero azionista e senza un vero management titolare di un potere reale e pervasivo derivante da un vero azionista, rischia di usurarsi e di perdere i pezzi. Anzi, si sta usurando e sta perdendo i pezzi. La forza e il controllo che dai vertici scendono per li rami fino a chi, con la manutenzione e gli investimenti ordinari, deve gestire la quotidianità sono elementi essenziali in una fabbrica ad alta intensità di capitale. Ogni vite deve essere stretta bene. E, quando non si sa che cosa succederà né domani, né dopodomani, né fra un mese, ogni cosa sembra meno importante di quanto non sia. Per tutte queste ragioni non è stata una buona idea segare le gambe del tavolo. Per farlo ai sindacati - a tutti i sindacati - sono bastate tre ore, dalle dieci del mattino all’una del pomeriggio di un giorno che non si dimenticherà tanto facilmente. Ora toccherà al prossimo governo. Che dovrà mostrare quel realismo industriale che altri, ieri, non hanno avuto.

© Riproduzione riservata