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Ilva, bisogna trattare non gettare la spugna

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il dibattito

Ilva, bisogna trattare non gettare la spugna

Ansa
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L'Ilva viene da tutti invocata come una maledizione, io la ho sempre vista come il più grande progetto di riqualificazione industriale e ambientalizzazione del continente. Le visioni positive sono poco suggestive per il mondo dell'informazione e politico, quelle catastrofiste sono più attraenti per chi non vive del proprio lavoro ma in Italia è egemone nella vulgata informativa.

L’Ilva, durante questi anni di amministrazione straordinaria ha perso volumi produttivi, efficienza e gli impianti si sono degradati al punto di aumentare incidenti e pericolosità degli stabilimenti. Un bel stress-test di cosa significherebbe “nazionalizzare”.

Un sindacalista che dopo un anno con un’infinità di incontri, formali e informali, sostiene di «non essere stato messo in condizione di fare la trattativa» fa un riconoscimento implicito delle proprie incapacità negoziali, che alcuni confondono con la ripetizione di mantra su ciò su cui non sono d’accordo senza fare mai mezza proposta. Il contrario del “passodopopasso” di Luciano Lama.

Un sindacalista che fa finta di non sapere che i buoni accordi bisogna farli in fretta perché le soluzioni fuori tempo massimo, non sono soluzioni, gioca con il destino dei lavoratori. Ilva perde 30 milioni di euro al mese, ha le casse completamente vuote (alibi con cui fu cacciato il bravissimo commissario Bondi), l’Amministrazione straordinaria ha rallentato il pagamento delle ditte di appalto creando problemi di reddito e occupazione ai dipendenti, ha disinvestito in manutenzione e sicurezza e non ha neanche fornito le tutele legali ai lavoratori sotto processo per aver eseguito le direttive aziendali. Fare “melina” in queste situazioni è da irresponsabili.

Un sindacato che teme le trattative è pericoloso per i lavoratori perché incapace di assolvere qualsiasi mandato che gli viene assegnato da loro.

Ambientalizzare e produrre acciaio senza inquinare, come si fa in tutto il mondo è un esercizio troppo ragionevole per l’Italia anti-industriale che si nutre di contrapposizione. È molto più facile non risolvere i problemi e schierarsi e costruire la propria notorietà da una parte o dall’altra.

Allo stesso tempo, un grande gruppo come ArcelorMittal che applica i suoi criteri di organizzazione aziendale e del lavoro definendo il perimetro aziendale per qualsiasi stabilimento del mondo con lo stesso schema compie un esercizio poco intelligente e poco efficace per il bene dell’azienda stessa. Da tempo la Fim Cisl, nei tre giri di boa che ci sono stati del negoziato - il 20 dicembre, prima delle elezioni e negli ultimi due mesi - ha chiesto a tutti di fare sul serio e di accantonare i tatticismi.

E oggi vi è stato l’epilogo, culminato con la messa in mora del negoziato.

La bozza presentata dal Governo conteneva quattro punti da modificare, ma abbiamo anche chiesto al ministro Carlo Calenda di andare avanti, anche perché in questi anni abbiamo fatto centinaia di accordi su quelle basi e quella era una buona base per arrivare a un accordo. Nel 2010 la Fiat non scappò e fece l’accordo con noi nonostante il no della Fiom, in Ilva siamo rimasti da soli a voler continuare il negoziato e a puntare all’accordo perché preferiamo prendere posizioni impegnative piuttosto che grattare la pancia ai lavoratori ma farli perdere.

Per questo, lo spazio per continuare a negoziare, magari avviando una no-stop, andava e va trovato a ogni costo. È ripartita la domanda d’acciaio e grazie a questo masochismo lo importiamo e lasciamo in cassa integrazione o licenziamo i lavoratori. È una follia. La siderurgia è l’architrave della sovranità industriale del paese.

È vero, la Fim-Cisl si è trovata da sola a non voler mollare il negoziato, non è la prima volta, avremmo voluto che si formalizzasse chi non vedeva l’ora di scappare dalla trattativa. Qualsiasi governo deve essere un interlocutore credibile e non un “amico o nemico” e le convergenze o divergenze devono essere trovare sempre sul merito per il bene dei lavoratori e del paese.

Chi, nel sindacato, in queste ore si vanta di aver fatto saltare la trattativa dovrebbe spiegare ai lavoratori che non avere più una sede di confronto mette l’azienda in condizione di “avere mani libere”, di decidere se abbandonare il progetto Ilva o procedere alla sua acquisizione senza accordo sindacale. È vero che i lavoratori hanno votato in massa per la stessa forza politica che qualche giorno fa ha chiesto la chiusura immediata e la riconversione (a cosa?) dell’Ilva. Ed è un bene che i lavoratori votino sempre ciò che credono in piena libertà, salvo poi però, chiedere sempre al sindacato di riparare i danni causati dai partiti che hanno votato, non è la prima volta che accade. La Fim Cisl non ha nessuna paura, abbiamo chiesto di non abbandonare il negoziato e ora chiediamo di riaprirlo immediatamente, è in gioco la credibilità del paese e delle sue istituzioni.

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