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Dossier Così la tecnologia cambia la fabbrica

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    Dossier | N. 5 articoliRapporto Meccanica & automazione

    Così la tecnologia cambia la fabbrica

    «Come faccio? Schiaccio questo punto dello schermo. Da casa». La giornata lavorativa del tecnico Comer inizia in modalità “smart”, cliccando su un tablet per attivare il pre-riscaldamento del forno della fabbrica di Reggiolo. Un maxi-impianto di verniciatura che genera un migliaio di parametri al secondo, tutti gestibili attraverso device mobili che consentono al gruppo meccanico emiliano di ottimizzarne l’attività. Ad esempio evitando di attendere mezz’ora prima di raggiungere la temperatura corretta.

    Non un caso isolato, quello della multinazionale emiliana produttrice di gruppi di trasmissione di potenza, piuttosto la spia di un movimento di modernizzazione più ampio: evoluzione o rivoluzione che sia poco importa, l’aspetto semantico diventa secondario guardando alla portata dei cambiamenti in atto. Che sul piano tecnologico coinvolgono processi e prodotti, come si comprende facilmente entrando nelle fabbriche della meccanica, non importa se di “big” o Pmi. C’è chi, come la lombarda Faster studia le vibrazioni anomale dei torni per intercettare i pezzi “sbagliati”; le viti hi-tech in titanio che Poggipolini fornisce ai colossi dell’aeronautica saranno a breve dotate di sensori; Umbra group ha già abbattuto del 20% i prodotti non conformi grazie all’analisi dei dati, algoritmi sviluppati da un neo-assunto, laureato in matematica; in Brembo bastano un paio di colpi sul maxi-schermo posto a fianco della linea che produce pinze-freni per “esplodere” i 200 parametri raccolti sul prodotto appena sfornato. Attività scenografica ma in realtà neppure necessaria, visto che è lo stesso sistema a lanciare allarmi automatici quando anche un solo valore esce dai margini di tolleranza.

    «Il cambiamento sta diventando pervasivo - conferma il presidente di Federmeccanica Alberto Dal Poz - e tra le aziende che conosco fatico a trovare chi non abbia investito: a restare ferme sono state solo le realtà che avevano problemi di mercato o altre difficoltà. Il piano Industria 4.0 è stato un acceleratore formidabile dello sviluppo, uno dei driver della ripresa degli ultimi anni: misure da rendere assolutamente strutturali». Driver di cambiamento della meccanica tricolore ben visibile anzitutto sul piano macro, con i nuovi record assoluti di consumi per il mercato interno sia per le macchine utensili che per tutti gli altri segmenti nel perimetro di Federmacchine, con i robot venduti in Italia a sperimentare il più alto tasso di crescita dell’intero globo, davanti a Cina, Corea del Sud, Giappone, Stati Uniti e Germania. Upgrade qualitativo che si innesta all’interno di una fase positiva anche in termini congiunturali, con l’intera industria meccanica a realizzare nel 2017 un progresso del 2,9%, chiudendo l’anno in accelerazione (+4,3% nel quarto trimestre) e migliorando la performance rispetto agli anni precedenti. Progressi legati all’export (216 miliardi, +6,3% rispetto al 2016, in grado di generare un attivo di 52 miliardi) ma anche alla risalita del mercato interno, rilanciato soprattutto dalla ripresa del ciclo degli investimenti.

    Trend generale che resta favorevole, anche se qualche segnale di rallentamento inizia a manifestarsi. «L’auto non è brillante come lo scorso anno - spiega Dal Poz - e anche l’area delle lavorazioni meccaniche tira un poco il fiato. Noi però restiamo ottimisti: vediamo un calo della Cig e una ripresa dei settori meccanici legati alle costruzioni. Credo che in generale sarà un anno molto positivo, grazie alla “coda” degli ordini acquisiti». «Il fieno in cascina in effetti è abbondante e basterà per molti mesi - sottolinea il presidente di Federmacchine Sandro Salmoiraghi - mentre la raccolta di nuove commesse è meno tonica. Frenata in parte fisiologica dopo il balzo del 2017, anche se a complicare il quadro si aggiunge uno scenario internazionale e italiano incerto. Impasse che si riflette sugli umori di chi deve investire, rallentando i progetti: non capendo bene quali siano le intenzioni della politica le imprese restano alla finestra».

    Aspettare è invece impossibile in termini di know-how e da questo punto di vista l’accelerazione degli investimenti ha ampliato per l’area meccanica il gap già esistente tra domanda e offerta di competenze tecniche. «Servirebbero 80mila periti industriali - spiega Salmoiraghi - e in Italia ne formiamo solo 8mila all’anno: ormai ci si ruba i tecnici l’un con l’altro, tra le aziende è quasi una “caccia” all’uomo».

    «Il mismatch si allarga - aggiunge Dal Poz - e non solo nei profili più “alti”, perché con il passare del tempo si stanno perdendo alcuni contenuti tecnici e meccanici cruciali. Ci sono aree, penso al Veneto, in cui specifiche professionalità anche di base proprio non si trovano. In Germania l’offerta numerica di questi profili è più robusta anche per un diverso approccio culturale verso la fabbrica. E non è che lì i giovani finiscano solo nelle grandi imprese: ci sono anche migliaia di Pmi simili alle nostre, a cui però le famiglie guardano come uno sbocco concreto di lavoro». La sfida del 2018 è così quella della formazione, carburante chiave per sostenere il processo di cambiamento avviato. Che dovrà però avere un orizzonte più lungo. «Ci batteremo strenuamente per confermare le misure di incentivazione - spiega Salmoiraghi - perché in due anni una rivoluzione industriale non si può fare».

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