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Reddito di cittadinanza, dalla Ue una dote «micro» e solo dopo…

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il capitolo welfare

Reddito di cittadinanza, dalla Ue una dote «micro» e solo dopo aver rinegoziato tutti i programmi

In linea di principio attingere al Fondo sociale europeo per finanziare il reddito di cittadinanza è possibile e, come ricorda la bozza del “contratto di governo” tra Lega e M5S, è un auspicio del Parlamento europeo che in una risoluzione non vincolante a ottobre ha “invitato” la Commissione europea a monitorare che il 20% della dotazione complessiva del Fse sia destinata realmente alla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale. Ma questo è già previsto. Anche l’Italia, per i sette anni della programmazione 2014-2020 ha destinato 2,3 miliardi a questo capitolo su 10,2 della dote Fse. Fin qui, dunque, nulla di nuovo.

È quando si prova a passare alla pratica che questo punto del “contratto” mostra tutta la sua fragilità. Prima di tutto sulle cifre: per il reddito di cittadinanza è prevista una spesa annua di 17 miliardi. Dalla dote europea del Fse se ne possono prelevare poco meno di 330 che diventano 500 con il cofinanziamento nazionale: meno del 3%, briciole. Se poi si considera che già a fine 2017 più di un terzo di queste risorse era impegnato in progetti già avviati e circa il 10% era già stato speso, è evidente che la copertura europea si è ulteriormente assottigliata e continuerà a ridursi ancora.

Ma l’ostacolo principale ad utilizzare i fondi europei per il reddito di cittadinanza non è solo nell’esiguità dell’importo disponibile: se anche tutta la dote Fse di sette anni fosse destinata allo scopo, non basterebbe a coprire i costi di un solo anno della misura. Il problema vero è che per dirottare qualsiasi importo del Fse al reddito di cittadinanza bisognerebbe rinegoziare uno per uno tutti i programmi operativi regionali (Por) e nazionali (Pon) definiti tra il 2013 e il 2014 tra regioni (o ministeri), governo nazionale e Commissione Ue, le basi su cui poggia ogni programma di spesa. «Un lavoro di una complessità estrema, sia dal punto di vista politico che amministrativo» spiegano alla Dg Occupazione a cui compete la gestione del Fse. «E se anche con una bacchetta magica tutti i programmi operativi italiani fossero per incanto rinegoziati, la cifra ottenuta sarebbe tutt’altro che risolutiva».

Diverso potrebbe essere per il futuro, il post-Brexit, di cui proprio in questi giorni si stanno discutendo cifre e regole. Il prossimo governo italiano potrebbe negoziare con la Ue una quota più ampia del Fse per l’inclusione sociale. Nonostante i tagli, grazie ai nuovi coefficienti, l’Italia non dovrebbe perdere risorse. Ma qui l’orizzonte si sposta almeno al 2021: prima niente da fare. Senza contare che la Commissione si sta già muovendo e in altre direzioni. Con il regolamento per il Fse che sarà presentato il 30 maggio e di cui ieri l’Ansa ha anticipato alcuni contenuti, Bruxelles vuole trasformare il Fondo sociale in un incentivo per gli Stati membri a realizzare le riforme strutturali sollecitate ogni anno con le raccomandazioni specifiche per Paese. La gestione delle risorse verrebbe sottratta alle regioni e affidata ai governi centrali, prospettiva contro cui si è già pronunciato il Comitato delle Regioni. La bozza circolata ieri indica genericamente “una somma adeguata” da destinare alle riforme strutturali.

Va segnalato, infine, che il passaggio del contratto relativo al reddito di cittadinanza e al Fondo sociale europeo e che qui riportiamo integralmente, risulta incompleto: «Andrà avviato un dialogo nelle sedi comunitarie al fine di applicare il provvedimento A8-0292/2017 approvato dal Parlamento europeo lo scorso 6 ottobre 2017, che garantirebbe l'utilizzo del 20% della dotazione complessiva del Fondo Sociale Europeo per istituire un reddito di cittadinanza anche in Italia (unico paese europeo oltre la Grecia a non prevedere tale misura) anche invitando la Commissione europea a monitorare specificamente l'utilizzo del FSE per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale, nonché a valutare esaminare, nella prossima revisione del regolamento recante disposizioni comuni sui Fondi strutturali (regolamento (UE) n. 1303/2013)».

La lunga frase, ripresa in parte dalla risoluzione dell’Europarlamento, dopo una evidente ripetizione, si perde e non chiude il concetto. Ecco l’intero passaggio al punto 3 della risoluzione: «Il Parlamento europeo... sottolinea l'importanza di finanziamenti pubblici adeguati a favore dei regimi di reddito minimo; invita la Commissione a monitorare specificamente l'utilizzo del 20 % della dotazione complessiva dell'FSE destinato alla lotta contro la povertà e l'esclusione sociale, nonché a esaminare, nella prossima revisione del regolamento recante disposizioni comuni sui Fondi strutturali (regolamento (UE) n. 1303/2013) e, in particolare, nel quadro del Fondo sociale europeo e del programma dell'UE per l'occupazione e l'innovazione sociale (EaSI), le possibilità di finanziamento per aiutare ciascuno Stato membro a istituire un regime di reddito minimo, ove inesistente, o a migliorare il funzionamento e l'efficacia dei sistemi esistenti;»

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