Con ogni probabilità nei prossimi giorni, forse già oggi, comincerà a Bruxelles un percorso che potrebbe ribaltare le prospettive sul materiale che ha caratterizzato il Novecento e che negli ultimi cinquant’anni ha cambiato il modo di vivere dell’umanità.
Dopo l’era del legno e del mattone, dopo l’era del carbone e dell’acciaio, forse comincia il declino per l’era del petrolio e della plastica, verso la transizione all’era del silicio (l’energia rinnovabile dei pannelli fotovoltaici) e del silicio (i nuovi modi di produrre consentiti dall’informatica).
Che cos’accade? Succede che in questi giorni l’Unione Europea dovrebbe fissare un’eurotassa sulle plastiche usa-e-getta. Il contributo è destinato a cambiare la competitività dei diversi materiali di uso comune, ma potrebbe anche a rompere le consuetudini della vita quotidiana.
Effetto Brexit
Ci sono pochissimi dettagli su come sarà organizzata l’eurotassa sulla plastica; i consumatori, le imprese e le istituzioni scopriranno le indicazioni europee nei prossimi giorni. Una data possibile per un annuncio ufficiale è proprio la giornata di oggi. La segretezza è dovuta al fatto che gli interessi in movimento hanno dimensioni rilevanti; bastano scostamenti minimi delle misure europee, una frazione di euro nei valori economici o una facilitazione per alcune tipologie di prodotti, per decretare il successo o la scomparsa di intere classi di prodotti. Da mesi sulla Commissione Ue spingono gruppi di pressione differenti, a volte anche contrapposti, spesso anche con alleanze inconsuete o anche non dichiarate.
Di certo si sa che l’eurotassa è un effetto della Brexit: poiché l’uscita dell’Inghilterra ha dato una sforbiciata importante alle fonti di finanziamento, la Commissione Ue ha cercato fonti alternative per incassare circa 17 miliardi l’anno, cui aggiungere altri finanziamenti aggiuntivi. E che c’è di meglio che rastrellare 7 miliardi l’anno da un gruppo di materiali, le plastiche, oggetto da anni di attenzione perché la loro leggerezza e indistruttibilità ne è un vantaggio ma anche un difetto?
Dubbi e certezze
Che cosa sarà tassato? Dalle dichiarazioni ufficiali espresse a Bruxelles dai diversi commissari coinvolti si sa che sarà colpito in sostanza tutto l’usa-e-getta. Difficile oggi però circoscriverne il perimetro nel dettaglio. Di certo di questa categoria molto generica fanno parte i filtri di sigaretta, le cannucce, i piatti leggeri da picnic (polistirolo), i bastoncini cotonati che l’Italia ha già obbligato alla biodegradabilità.
Ma ci saranno anche il flacone dell’ammorbidente (polietilene), la vaschetta trasparente con le ciliegie (polipropilene) e l’imbottitura della poltroncina (poliuretano)? Saranno esentate, come pare logico, perfino le plastiche biodegradabili, che però nascono proprio come quintessenza dell’usa-e-getta pensate per non poter essere mai riusate e per finire dissolte nell’ambiente? Secondo una bozza di regolamento europeo non ancora definitiva la Ue - fissato l’obiettivo del 55% di riciclo - si farebbe pagare dai bilanci dei singoli Stati la cifra di 80 centesimi per ogni chilo di plastica che non raggiunge l’obiettivo di riciclo. Sarà poi ogni Stato a decidere se imporre una tassa, un contributo simile a quello che esiste in Italia oppure se pagare a Bruxelles, caricare il costo sulla fiscalità generale e zitti.
Il costo dell’Italia potrebbe aggirarsi sul miliardo l’anno, ipotizzando 80 centesimi al chilo su 1,2 milioni di tonnellate di plastica che sono la differenza tra il il 55% dell’obiettivo europeo e e il 43% di riciclo effettivo italiano.
Sulla bozza di regolamento ci sono dubbi sulla definizione esatta di materie plastiche, sui 6 anni concessi agli Stati per ridurre in modo consistente il consumo di plastiche (articolo 4), le esenzioni per i prodotti medicali (articolo 5), su tappi e coperchietti che devono obbligatoriamente rimanere attaccati a bottiglie e vaschette. Dubbi sull’etichettatura ambientale su prodotti come i palloncini gonfiabili. Ci sarebbe un meccanismo simile (e aggiuntivo) al contributo italiano del Conai per il riciclo attraverso cui i produttori di plastiche dovrebbe finanziare raccolta e smaltimento (articolo 8). I Paesi europei avranno due anni per adeguarsi a queste nome (articolo 16).
Gli 80 centesimi al chilo
La versione finale del regolamento, e il modo in cui ogni Paese lo applicherà potranno creare divari forti di competitività tra i vari Paesi e soprattutto tra le aziende di lavorazione dei prodotti plastici, settore in cui l’Italia è espostissima perché seconda in Europa ma formata da aziende di dimensioni piccole.
È facile che possano esserci esenzioni secondo l’impatto ambientale dei diversi polimeri, come il riciclabilissimo Pet delle bottiglie dell’acqua minerale con la cui rigenerazione cui si producono le imbottiture delle trapunte o la microfibra dei maglioncini.
L’effetto dell’eurotassa potrebbe spostare la competitività di diversi materiali di uso comune. Per esempio, affari d’oro per carta e cartoncino. Per esempio se si aggiungessero 80 centesimi al chilo su materiali plastici a larga diffusione oggi quotati sugli 1,5 euro, diverrebbe competitiva contro il polistirolo la plastica biodegradabile Pla (acido polilattico) che, non tassato, può essere acquistato anche su 2,1-2,2 euro al chilo, mentre le plastiche all’amido, più care, rimarrebbero ancora fuori scala ma sicuramente acquisirebbero più appetibilità.
I dilemmi del riciclo
Gli esperti di Bruxelles hanno mille aspetti da valutare. Poiché l’eurotassa riguarderebbe solamente il materiale di prima produzione, quando torneranno sul mercato ne verrebbero esentati i prodotti di riciclo e quelli riutilizzati.
Bisognerà però individuare standard precisi sulla normazione dei materiali. Dopo la lavorazione in una linea di estrusione è impossibile distinguere due plastiche con diverse quote di materia rigenerata. Dovrebbero essere introdotti traccianti (forse chimici) per poter riconoscere le diverse provenienze. Un occhio speciale alle importazioni da Paesi extraeuropei, come da Cina e Turchia, per evitare abusi o anche solamente leggerezze sul contenuto di materiali riciclati.
I tecnici europei stanno anche valutando come non gravare in eccesso le materie plastiche: odiate da tanti consumatori, hanno anche virtù ambientali, come l’infrangibilità e il peso leggerissimo che corrisponde a minore spreco di risorse e di carburante per il trasporto. Le plastiche hanno consentito agli europei di avere alimenti sani, sterili e non contaminati dopo millenni di un’umanità affamata da derrate marce, lorde e deperite; nei Paesi a basso tasso di imballaggi va perso circa il 50% dei cibi, nei Paesi ad alto livello di confezionamento va deperito appena il 3% dei cibi. Così sarebbero allo studio misure per evitare che l’eurotassa possa danneggiare l’igiene degli alimenti con il riuso improprio di imballaggi contaminati o di materie plastiche da riciclo usate in modo scorretto.
Com’è profondo il mare
Le grandi virtù ambientali della plastica diventano un disastro quando dopo l’uso i prodotti non vengono raccolti per essere smaltiti correttamente o meglio se sono riciclati.
L’esperienza dei Paesi di nuova economia, come quelli del Sud Est Asiatico, ne è il simbolo: consumi ormai simili a quelli dei Paesi sviluppati, dove miliardi di persone finalmente possono consentirsi scarpe (poliuretano), abiti (poliestere), bevande non contaminate (bottiglie di Pet), prodotti per l’igiene della persona e degli indumenti (flaconi di polietilene), alimenti esenti da rischi di tossinfezioni (polipropilene) non trovano poi una struttura adeguata di raccolta, smaltimento e riciclo. Così gli oceani si riempiono di schifezze plastiche, ciabattame, lacerti di teli di plastica, cassette, palline di polistirolo.
Diverso il caso dei Mediterraneo. Uno studio condotto dal centro ricerche Arcadis per la Commissione Ue ha individuato nei mari europei sporcizia generata soprattutto sul luogo stesso, come i galleggianti da pesca, i cordami di nailon di pescherecci e reti, le stoviglie di plastica dei picnic in spiaggia. Difatti in Europa i limiti riguardano queste tipologie di prodotti; per esempio la Francia vuole mettere al bando piatti e stoviglie non biodegradabili dal 2020.
La Commissione Ue ha già proposto di vietare l’impiego di microplastiche usate intenzionalmente in prodotti come i cosmetici, mentre sul fronte della produzione la strategia sulla plastica Ue prevede che entro il 2030 tutte le confezioni in plastica immesse sul mercato siano progettate per essere riutilizzabili e riciclabili.
© Riproduzione riservata