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Dall’Alma di Colorno gli chef ambasciatori della tavola italiana

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ALTA FORMAZIONE

Dall’Alma di Colorno gli chef ambasciatori della tavola italiana

Se indossassero l’uniforme militare sarebbero dei perfetti cadetti d’accademia, ma i 1.100 ragazzi di tutte le nazionalità che ogni anno frequentano la Reggia di Colorno hanno un’altra divisa (bianca o nera) e un altro sogno: diventare cuochi professionisti. Perché qui, nella piccola Versailles di Parma ha sede la prima scuola internazionale di cucina italiana, Alma. Che dal 2004 – ben prima dell’effetto Masterchef e del clamore mediatico da cui il settecentesco palazzo ducale ama stare alla larga – diploma la più rinomata e coesa comunità di chef italiani nel mondo, da Michele Rubini (per tutti Chef Rubio) a Pasquale Laera. Sono oltre 4mila gli “almisti”, che alla pari dei “ferraristi” della vicina Maranello, condividono radici e identità e portano nel mondo i saperi e i sapori della tradizione italiana.

Il rigore è la prima lezione impartita dalla scuola stellata, guidata fin dal suo debutto, con i primi 17 aspiranti cuochi, dal “maestro” per antonomasia della cucina italiana, Gualtiero Marchesi, rimasto rettore fino a poco prima della sua morte (nel dicembre scorso) e oggi sostituito da un comitato scientifico con sei membri, tanti quanti i corsi di specializzazione attivi a Colorno: cuoco, pasticcere, bakery chef, sommelier, professionista di sala e manager della ristorazione. Le regole della Reggia, ceduta nel 1871 per 100mila lire alla Provincia di Parma (attuale proprietaria del palazzo e socia di Alma) sono ferree: ci si presenta in aula, otto al giorno, 5 giorni su sette, esclusivamente in divisa, linda e stirata alla perfezione, con la quale non è ammesso uscire dalla scuola; non è tollerato ritardo e nessuno schiamazzo riecheggia nei 5mila metri quadrati di cucine e laboratori all’avanguardia tecnologica e neppure nei 7mila metri quadrati di cortili interni, dove è un continuo via vai di merci di ogni sorta. Ogni mese nel magazzino Alma arrivano 850mila kg di ingredienti (oltre 4 tonnellate di carni e saluti, più di 8 tonnellate di frutta e verdura di stagione, 800 kg di pesce fresco), all’insegna della qualità e delle tipicità locali.

A rendere unica Alma non è solo la serietà, ma la mission: creare professionisti della ristorazione e dell’ospitalità italiana che valorizzino la nostra cucina di tradizione e con essa i prodotti agroalimentari su cui basa il suo successo globale. Non c’è spazio nelle aule che affacciano sul torrente Parma, i giardini alla francese e il paesino di Colorno (9mila anime) per appassionati e foodies dilettanti. Qui entrano, dopo gli esami di selezione, solo maggiorenni under 40 che intendano fare della cucina un mestiere solido tanto nelle basi quanto nelle prospettive. La frequenza delle lezioni è obbligatoria, e non si fa solo pratica. Un quarto del tempo è dedicato alla pura teoria, per imparare l’arte e la cultura culinaria dei diversi campanili, con un team di 120 maestri (una trentina interni stabili) che collaborano da tutta Italia tra cuochi, pasticcieri, sommelier e professionisti affermati e portano la loro esperienza diretta.

E chi ama studiare, alla Reggia che fu di Maria Luigia d’Austria trova la più ricca biblioteca specializzata del Paese: 15mila volumi di cucina (erano 16mila prima dell’alluvione dello scorso inverno di cui ancora resta traccia sui muri) che testimoniano e alimentano l’heritage del made in Italy agroalimentare. Dopodiché l’imprinting “almista” viene messo alla prova negli stage formativi in oltre 500 tra ristoranti, pasticcerie e locali blasonati in giro per l’Italia.

Il tasso di occupazione degli studenti Alma è del 90% a sei mesi dal diploma (con tanto di tesi da discutere e prove pratiche davanti a una commissione che in media raggruppa una ventina di stelle Michelin). Il che spiega anche i costi della frequenza, dai 6mila euro per i sette mesi del corso di maestro di sala ai 16mila euro per il corso di un anno in cucina. Ma il fatto che Alma sia annoverata tra le tre scuole di cucina più prestigiose al mondo – con Le Cordon Bleu di Parigi e the Culinary Institute of America di New York – la dice lunga sulla bontà dell’investimento per le famiglie. Non solo italiane, visto che uno studente su cinque è straniero e nell’ultima classe internazionale di cucina su 20 iscritti erano rappresentate 19 diverse nazionalità. E da diversi anni c’è una classe ad hoc per gli studenti coreani, con tanto di traduttrice, grazie al sodalizio con la scuola di Seul “Il cuoco” di Shim Jaeho.

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