Non sarà il boom del 2017 (+7,4%). Ma il futuro dell’export italiano si annuncia comunque roseo, in crescita del 5,8% a fine 2018 e del 4,5 per cento, in media, nei successivi tre anni, quando supererà i 540 miliardi. Con l’Europa avanzata, tassello clou per i nostri esportatori, che segnerà un rallentamento delle vendite italiane (solo, si fa per dire, +3,8%), nel triennio 2019-2021, mentre il vento di levante soffierà ancora, e molto, per le imprese della Penisola.
A tratteggiare la rotta è “Keep calm & Made in Italy”, l’ultimo rapporto annuale sull’export elaborato da Sace e Simest, fulcro del Polo per l’export e l’internazionalizzazione del gruppo Cdp, che oggi sarà presentato a Milano a Piazza Affari. «Nonostante le crescenti tensioni geopolitiche e protezionistiche, lo scenario dell’export italiano resta positivo nel complesso dopo l’exploit del 2017 - spiega al Sole 24 Ore il presidente della Sace, Beniamino Quintieri -. E quello che più colpisce è la doppia diversificazione dell’Italia, capace, da un lato, rispetto ai principali peer europei in termini di export (Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna), di ampliare più di altri le destinazioni delle merci italiane, e, dall’altro, di allargare la gamma di prodotti apprezzati oltreconfine. Così, negli ultimi anni, siamo cresciuti di più nei settori (dalla chimica alla farmaceutica) in cui tradizionalmente non siamo specializzati».
In effetti, l’elenco degli approdi è lungo tra conferme e nuovi arrivi. Perché, se è vero che ci sono quindici Paesi “trainanti” (dagli Usa al Vietnam, dalla Russia al Qatar), che, da soli, garantiranno un terzo del maggior export da qui al 2021, a ciò vanno aggiunti nuove geografie “promettenti” (Colombia, Filippine, Marocco, Senegal) e un mercato consolidato come la Turchia. E, guardando avanti, sarà soprattutto l’Asia-Pacifico a riservare le maggiori soddisfazioni. «Non solo i noti colossi (Cina e India), ma anche Indonesia, Malaysia, Thailandia, Vietnam e, appunto, Filippine, che, nel triennio 2019-2021, vedranno avanzare il loro Pil a ritmi superiori, in media, al 5%, con crescenti occasioni di business che le aziende italiane internazionalizzate potranno intercettare», chiarisce il presidente.
Prospettive incoraggianti emergono poi in America Latina (Messico, Brasile, ma anche Cile e Perù) e nell’Europa emergente (Polonia e Repubblica Ceca su tutti). E ancora, in Medio Oriente e Nordafrica dove, nel 2021, le nostre vendite supereranno i 40 miliardi di euro (+18% sul 2017). «Laddove siamo di fronte a previsioni di crescita interessanti per il Paese che si accompagnano a una ripresa della domanda interna, la nostra produzione di beni e servizi può trovare sbocchi importanti», sintetizza Quintieri.
Quanto ai settori, spiccano i beni intermedi (+8,1% nel 2018 e +4,7%, in media, nei tre anni successivi). «Oltre all’estrattiva e ai metalli, che stanno recuperando a livello globale - prosegue Quintieri -, va sottolineata la performance della farmaceutica che, non è tra le specializzazioni italiane, ma offre prospettive molto interessanti per i prossimi anni». Tra i beni di investimento, invece, che sono il 40% dell’export e che saliranno del 5% nel 2018 e del 4,6% nel periodo 2019-2021, si conferma la spinta di Usa e Spagna e dell’Europa dell’Est per l’automotive (rispettivamente, +4,6% e +6,9%), mentre la meccanica strumentale (+5,2% e +3,1%) avrà ottime prospettive in America Latina (Brasile e Messico) e nell’Asia-Pacifico (Bangladesh e Filippine). Lo sguardo andrà poi puntato, in particolare, su Corea del Sud, Messico e Polonia, per tessile e abbigliamento (rispettivamente, +4,4% e +4%), mentre per i prodotti agricoli e alimentari, che cresceranno a ritmi molto alti (+6,9% quest’anno e +5% di media dal 2019 al 2021), saranno Romania, Spagna e Turchia a offrire le occasioni più interessanti.
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