Anche il mondo del private banking deve affrontare la sfida della tecnologia. Le innovazioni del fintech rappresentano un’opportunità per la rete dei consulenti e solo chi sfrutterà al meglio quello che offre il mercato riuscirà a garantirsi una maggiore competitività in termini di costi e servizi.
«Il fintech - spiega Emilio Barucci, professore di matematica finanziaria al Politecnico di Milano – è un fenomeno complesso. Vuol dire disintermediazione ma anche machine learning e big data. Applicato al mondo mondo del private banking, non penso che ci sia un rischio reale di disintermediazione. Detto questo le società che sapranno utilizzare al meglio il fintech per valutare i rischi e scegliere i prodotti più adatti alle esigenze dei clienti avranno maggiori potenzialità di crescita. Vince chi si evolve nel campo dei servizi “customizzati”». Gli operatori tradizionali da tempo hanno scoperto e valorizzato le opportunità offerte dall’innovazione. Il fattore umano resta fondamentale, ma oggi sono necessari anche processi tecnologici sempre più efficienti.
«L’utilizzo di tablet e la firma grafometrica - commenta Alessandro Marchesin, direttore commerciale Banca Patrimoni Sella & C. - consente a tutti i private banker fuori sede, ad esempio, di sottoscrivere contratti. Importante, poi, anche la consulenza a distanza via web, altra modalità attiva nel nostro modello già dal 2012». Infine, il tema del ribilanciamento automatico dei portafogli con i robo advisor. «Nella nostra esperienza - conclude Marchesin - ci permette di riassettare i portafogli in automatico, senza dimenticare che la definizione degli stessi non esclude un’importante componente umana». Ci sono realtà che sono sorte per valorizzare al massimo il fintech. «Noi siamo nati - spiega Stefano Rossi, responsabile della divisione wealth managementdi Euclidea - in funzione del desiderio/esigenza del risparmiatore di avere più chiarezza, semplicità e trasparenza sui costi di gestione. Con la tecnologia proprietaria analizziamo tutto l’universo investibile disponibile in Italia, 110mila classi di fondi ed Etf per selezionarne i migliori o quelli che riteniamo con maggiore potenziale». All’aumentare della complessità del patrimonio, la tecnologia può aiutare consentendo anche di razionalizzare i costi.
«Il cliente wealth - conclude Rossi - ha un contatto continuo con noi. Si decide insieme quando sentirci. Di prassi però informiamo sempre tutti i clienti quando movimentiamo i portafogli, sia in termini di asset allocation, sia di fondi. In termini di costi, il cliente wealth ha in media un risparmio del 30-40%. Facciamo infatti vedere il vero costo totale, che è la somma del costo di gestione e il Ter del portafoglio».
Sul mercato c’è movimento anche per offrire al mondo bancario nuove programmi, non solo per il settore private. È il caso del progetto lanciato da Virtual B. «È una soluzione - spiega Raffaele Zenti, partner Virtual B spa - basata su financial data scienceche serve al private banking e, in generale, a tutto il processo di gestione del risparmio». La piattaforma, venduta a banche, assicurazioni e altri intermediari, usa i dati in possesso degli intermediari finanziari relativi ai clienti (questionari, Mifid, storia degli investimenti, ecc), li tratta con algoritmi di machine learning (data science). Estrae del valore: chi sono i clienti come investitori, che bisogni e obiettivi hanno. Fa la stessa analisi sui prodotti, individuando i bisogni da essi soddisfatti, e poi aiuta a mettere insieme i due mondi.
«Il software denomimato SideKYC - conclude Zenti - è un esempio di fintech cha aiuta la consulenza. Questa la strategia vincente a nostro avviso: l’intelligenza artificiale al servizio della consulenza, non in sostituzione».
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