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Marketing, a qualcuno piace farlo strano

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Armi non convenzionali

Marketing, a qualcuno piace farlo strano

L’artista Maurizio Cattelan con un tatuaggio che promuove Huawei P20 Pro: orizzonti di marketing non convenzionale
L’artista Maurizio Cattelan con un tatuaggio che promuove Huawei P20 Pro: orizzonti di marketing non convenzionale

Prima o poi arriva sempre il cliente inserzionista che ti chiede la luna. Oggi non puoi dargliela, domani chissà: la startup giapponese Ispace ha raccolto infatti 90 milioni di dollari per lanciare un dispositivo nell’orbita lunare che un giorno dovrebbe consentire l’istallazione di speciali cartelloni pubblicitari tra i crateri Tycho e Bernoulli. I primi brand a luccicare, nelle notti di luna piena, dovrebbero essere Japan Airlines e Tokyo Broadcasting System. Che siano soltanto storie della buonanotte per creativi ribelli? Chi lo sa. La cosa certa è che cresce, a livello globale, la domanda di servizi di marketing non convenzionale.

Orizzonti di marketing (non convenzionale)
Sarà perché i budget si restringono. Sarà perché, quando tutti comunicano, il rischio è quello di comunicare come fanno tutti gli altri. Sarà perché, con 500mila euro da investire, su molti media tradizionali fai fatica a distinguerti ma, con un approccio innovativo, puoi scatenare una piccola rivoluzione. Entrandoci comunque sui media tradizionali, ma dalla «porta di servizio». Lo spazio più accattivante da affittare a un inserzionista, per esempio, può diventare il corpo umano: l’artista Maurizio Cattelan, ad aprile, ha così ospitato sulla fronte un tatuaggio temporaneo che promuoveva l’arrivo in Italia dello smartphone P20 Pro di Huawei. Per fini benefici: Cattelan ha infatti devoluto all’Accademia di belle arti di Carrara l’assegno staccatogli dalla multinazionale cinese.

“Chi sceglie le vie del marketing non convenzionale punta a incuriosire, sorprendere o addirittura scioccare il pubblico”

Guido Di Fraia, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dello Iulm 

Per Guido Di Fraia, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dello Iulm, «siamo di fronte a una vera e propria tendenza». Che parte dal corpo umano, «con la nascita di siti specializzati come Leaseyourbody.com, dedicati a chi è interessato a ospitare tatuaggi di skin advertising», e si allarga «all’organizzazione di happening a tema, all’allestimento di istallazioni temporanee, al lancio di messaggi teaser e campagne di guerrilla marketing». Più che comunicare, nel senso tradizionale, «chi sceglie queste strade», secondo Di Fraia, «punta a incuriosire, sorpendere o addirittura scioccare il pubblico». Quanto al budget da investire, può oscillare dai 5mila ai 500mila euro. Lo skin advertising, in Italia, si è visto di recente a «Firenze Rocks», festival musicale organizzato da Live Nation con Guns n’ Roses e Foo Fighters in cartellone. «Durante l’attesa pomeridiana - racconta Marco Boraso, direttore marketing della multinazionale dei concerti - abbiamo offerto al pubblico tatuaggi temporanei con il logo dell’evento e quello di Ticketmaster», la piattaforma di ticketing del gruppo, «accolti con grande divertimento. Il popolo del rock ama le provocazioni».

Due fan sfoggiano i tatuaggi celebrativi del festival «Firenze Rocks»

Scontro generazionale in azienda: osare o non osare
Provocare è il mestiere di Mai-Tai, agenzia milanese che impiega 15 persone e muove un giro d’affari di circa 2 milioni. Nata nel 2001, negli ultimi dieci anni ha sviluppato strategie che spaziavano dal guerrilla marketing ai flash mob. Talvolta anche per clienti tradizionali. In occasione del Salone del Mobile 2011, per conto di Ikea, ha allestito finti bagni chimici che portavano in veri bagni della catena svedese. Due anni più tardi a Milano il periodo pre-natalizio fu salutato dall’apparizione in Corso Como di un albero di Natale decorato con sex toys a promozione del portale di e-commerce My Secret Case. Nel 2014 a piazza Gae Aulenti apparve una ruota panoramica sulla quale era possibile assaggiare le Nuvole di cioccolata Perugina. Tra le nuvole milanesi. E ancora, nel 2015, un rinoceronte dal corno mozzato, finto ma terribilmente verosimile, a piazza Cadorna sensibilizzava alle battaglie del Wwf. «Se operi su un mercato come quello italiano», spiega Andrea Mastropaolo, general manager di Mai Tai, «non puoi concentrarti soltanto sul marketing non convenzionale: devi offrire il ventaglio più ampio di soluzioni. Tutti ti chiedono campagne notiziabili, ma non tutti sono disposti a osare con il messaggio». Cosa curiosa: «Nelle aziende clienti - racconta il sales manager Angelo Mazzi - assistiamo spesso a scontri generazionali. I dirigenti giovani vorrebbero spingere verso la provocazione, quelli più anziani tirano il freno per timori di contraccolpi reputazionali».

La ruota Panoramica allestita a Milano per le Nuvole Perugina

Dove osano i nativi digitali
Tra gli inserzionisti, le cosiddette «tech» appaiono paricolarmente sensibili quando si tratta di osare. Nell’ultimo anno qui da noi si è visto per esempio grande attivismo da parte di Netflix, per il lancio delle nuove stagioni delle serie Breaking Bad, Stranger Things e Black Mirror. Lavori affidati a Dude, agenzia di marketing integrato che, tra Milano e Londra, dà lavoro a 50 persone muovendo un giro d’affari di 4,8 milioni. Per Breaking Bad sotto forma di temporary shop è stato ricreato a Milano, in piazza 24 maggio, e a Roma, in via Cavour, il fast food Los Pollos Hermanos, luogo di culto per gli appassionati della serie. Stranger Things ha scatenato una campagna di guerrilla marketing tutta incentrata sulla dimensione del Sottosopra, mentre per la quarta serie di Black Mirror al Base di Milano è stato ricreato un party ispirato a una celebre puntata della serie: potevi accedere soltanto se avevi almeno mille followers su Instagram e dovevi beccare tanti like se non volevi correre il rischio di venire buttato fuori. Una campagna, quest’ultima, premiata al Festival della Creatività di Cannes. Più difficile affermare certe strategie con aziende di settori tradizionali. Riassumendo: i clienti che ti chiedono la luna sono tanti. Il problema, semmai, è che in tantissimi si fermano a guardare il proverbiale dito che la indica.

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