Economia

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salvini, boeri e i lavoratori stranieri

Immigrati: il rapporto costi-benefici è positivo per l’Italia. Ecco perché

Gli immigrati regolari residenti in Italia portano più costi o più benefici? La seconda che avete letto. E a dirlo, ripetutamente, sono una serie di studi e report statistici di soggetti autorevoli come la Fondazione Leone Moressa di Venezia e l’Inps. Proprio sul contributo degli immigrati all’equilibrio del sistema pensionistico italiano è ritornato il presidente dell’Inps Tito Boeri durante la relazione annuale, ribadendo quanto detto, peraltro, esattamente un anno prima – il 4 luglio 2017 – con un governo di segno opposto rispetto a quello attuale.

L’impatto sul futuro legato alla mancanza di nuovi immigrati regolari
Boeri ha ribadito quanto va ripetendo da tempo e che nei giorni scorsi è stato contestato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, il quale ha anche lasciato intendere una prossima sostituzione del presidente dell’Inps. «Gli immigrati sono fondamentali per il mantenimento del sistema previdenziale che, senza di loro, rischia il collasso» ha sottolineato l’economista. Un anno fa il presidente dell’Inps citava gli effetti che si avrebbero nel futuro con un «blocco di flussi di nuovi lavoratori extracomunitari» – non si parla di chi arriva in Italia in modo irregolare – : la simulazione porta a dire che per il 2040 l’Italia avrebbe «73 miliardi di euro in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate a immigrati, con un saldo netto negativo di 38 miliardi per le casse dell’Inps». Lo stesso Tito Boeri ha citato uno studio dell’Fmi: «Secondo le previsioni Fmi, riviste a seguito della riduzione dei flussi migratori, dal 2045 avremo un lavoratore per pensionato. Ai livelli attuali delle pensioni ciò significa che 4 euro su 5 guadagnati col proprio lavoro andrebbero a pagare le pensioni».

Il problema demografico
L’Istat certifica, con i suoi studi, una tendenza in corso da anni e con la quale politica ed economia sono chiamati a fare i conti: il calo demografico dell’Italia. «Si stima che in Italia la popolazione residente attesa sia pari, secondo lo scenario mediano, a 59 milioni nel 2045 e a 54,1 milioni nel 2065» recita l’ultimo report dell’Istituto, diffuso il 3 maggio 2018. «La flessione rispetto al 2017 (60,6 milioni) sarebbe pari a 1,6 milioni di residenti nel 2045 e a 6,5 milioni nel 2065. Tenendo conto della variabilità associata agli eventi demografici, la stima della popolazione al 2065 oscilla da un minimo di 46,4 milioni a un massimo di 62» precisa l’Istat. Tuttavia, «la probabilità che aumenti la popolazione tra il 2017 e il 2065 è pari al 9%».

Età degli italiani e quota percentuale degli stranieri: percezioni sbagliate
Non solo la popolazione italiana non sembra destinata ad aumentare, c’è, come viene ripetuto da tempo, un problema di età: siamo troppo anziani e ci sono troppo pochi giovani, ma tendiamo a non ricordarlo. Problema che rientra nell’ampio tema della percezione che si discosta dalla realtà. Un meccanismo analogo avviene per quanto riguarda il dato relativo all’incidenza della popolazione extracomunitaria sul totale degli italiani. Boeri, nel corso della sua relazione, mostra il grafico eloquente elaborato dall’Ipsos: «Gli italiani sovrastimano la quota di popolazione con meno di 14 anni e anche la presenza di immigrati. Questo avviene anche in altri paesi, ma la deviazione fra percezione e realtà è molto più accentuata da noi che altrove». In sostanza le persone interpellate sono convinte che il 26% degli italiani abbia meno di 14 anni, mentre invece questa fascia d’età rappresenta (dati 2015) il 14% del totale. Gli italiani pensano anche che gli stranieri siano il 26% della popolazione, mentre invece sono circa il 9% del totale.

Immigrati e sistema previdenziale
Di immigrati, sistema previdenziale, età, si occupa anche un recente articolo apparso su www.lavoce.info, firmato da Enrico Di Pasquale e Chiara Tronchin – ricercatori della Fondazione Leone Moressa – e da Andrea Stuppini, dirigente della Regione Emilia Romagna. «È una verità difficilmente contestabile – scrivono – che gli immigrati rappresentino oggi un vantaggio per l’Inps (come avviene in tutti i paesi sviluppati): la loro età media (33 anni) è inferiore di oltre 10 anni rispetto a quella degli italiani (45 anni)». Inoltre «su 16 milioni di pensionati, gli stranieri sono circa 130mila (80mila pensioni contributive e 50mila pensioni assistenziali), meno dell’1% del totale, per un importo di circa 800 milioni di euro (2015). Sul lato delle entrate, i 2,4 milioni di lavoratori stranieri versano all’Inps oltre 10 miliardi di euro l’anno». Ci sono poi altri dati di cui tenere conto. Il primo: solo allo 0,3% degli stranieri si applica il metodo di calcolo retributivo, che riguarda, invece, l’85% delle pensioni oggi in pagamento per i nativi. Per contro, «l’87,6% dei lavoratori stranieri vedrà la propria pensione interamente calcolata con il metodo contributivo». Ammesso che tutti vi accedano, perché non è così scontato: spesso, infatti – come sottolineano i ricercatori – questo non avviene: «Il presidente dell'Inps Tito Boeri calcola che negli ultimi anni gli immigrati abbiano lasciato nelle casse dell’Istituto circa 3 miliardi di euro di contributi versati, per prestazioni cui avrebbero avuto diritto se fossero rimasti in Italia».

La contestazione delle truffe ai danni del sistema
Tra le contestazioni che vengono mosse da chi non crede ai vantaggi apportati dai lavoratori stranieri al sistema previdenziale italiano c’è anche quella delle truffe: vale a dire le «indebite appropriazioni ai danni del sistema previdenziale». I casi di truffa sono legati agli assegni sociali che spettano ai percettori di redditi bassi (meno di 5.824,91 euro annui o 11.649,82 euro se il soggetto è coniugato nel 2017), che hanno compiuto almeno 65 anni e 7 mesi e vivono in Italia da almeno 10 anni. Controlli sempre più stringenti hanno limitato questi casi, sottolineano Di Pasquale, Stuppini e Tronchin. In più va tenuto conto che gli assegni vengono revocati se si soggiorna per più di 30 giorni all’estero. Infine, «per quanto grave, il fenomeno riguarda in tutto circa 500 casi, per un totale di 10 milioni di euro, e spesso ha per protagonisti i familiari di ex emigrati italiani».

L’economia dei lavoratori stranieri

Il rapporto costi benefici della Fondazione Leone Moressa
La Fondazione Leone Moressa pubblica ogni anno un approfondito studio - edito dal Mulino sull’economia dei migranti, con un capitolo specifico sul rapporto costi benefici degli immigrati in Italia. Il lavoro della Fondazione calcola dettagliatamente le voci a cominciare dai versamenti Irpef, superiori ai 3 miliardi di euro. Per evitare che il calcolo fosse viziato dal numero di italiani nati all’estero (inclusi nelle statistiche del ministero dell’Economia e finanze, Mef) i ricercatori della Fondazione hanno incrociato i dati del Mef con quelli Istat relativi alla Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro, arrivando a circa 2,3 milioni di cittadini stranieri che hanno effettuato la dichiarazione dei redditi in Italia. Al gettito Irpef sono poi aggiunti l’imposta indiretta sui consumi (stimata in 2,5 miliardi), le imposte sui carburanti (940 milioni di euro), circa 240 milioni annui derivanti da gioco del lotto e lotterie, altri 340 milioni di euro circa tra rinnovi dei permessi di soggiorno e richieste di acquisizione della cittadinanza italiana. In totale 7,2 miliardi.

Nel computo delle entrate per lo Stato italiano «oltre al gettito fiscale, vanno anche considerati i contributi previdenziali» spiega il rapporto della Fondazione Leone Moressa. Questi, infatti, «pur non essendo una vera e propria imposta, nell'immediato rappresentano comunque un sostegno per le casse dello Stato. A partire dai dati di fonte Mef e Istat, si può stimare che i 2,4 milioni di stranieri occupati in Italia abbiano versato complessivamente 11,5 miliardi di euro». Un dato che sommato ai 7,2 miliardi porta a 18,7 miliardi di euro di entrate.

ITALIA. STIMA DELLE ENTRATE E DELLE USCITE
Miliardi di euro (costo medio, A.I.* 2015). Saldo (Entrate – Uscite) +2,1 miliardi di euro. (*) Anno d'imposta.
(FONTE: Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati MEF e Istat)

I costi del sistema Paese per gli immigrati
Per calcolare la spesa pubblica italiana destinata ai cittadini stranieri, gli analisti della Fondazione hanno seguito due diverse strade che, lo diciamo subito, portano a risultati finali abbastanza simili nel saldo (vale a dire la differenza tra quanto versato dai cittadini stranieri e quanto lo Stato ha speso per essi). «Il primo metodo è quello del costo medio (o “costo standard”) – si legge nel report della Fondazione Leone Moressa –, determinato dal rapporto tra i costi sostenuti in totale per ciascun servizio e il numero di beneficiari (in questo caso gli stranieri) che utilizzano quel servizio».

Questo tipo di approccio, come sottolineano gli stessi ricercatori della Fondazione, ha il limite di includere anche quei costi di gestione che il Paese sosterrebbe comunque: pensiamo alla scuola o alla sanità. «Questo limite è superato dal secondo metodo, quello dei costi marginali, che misura l’incremento dei costi dovuto prettamente alla presenza straniera tra gli utenti».

Con il primo metodo di calcolo si arriva a determinare una serie di costi di circa 4 miliardi di euro per quanto riguarda la Sanità, circa 3 miliardi per la voce scuola/istruzione, 2,7 miliardi legati a costi sostenuti dal ministero dell’Interno, altri due per il settore della Giustizia. Il totale, con l’aggiunta di servizi sociali, casa e trasferimenti economici, porta a uscite per 16,6 miliardi di euro.

Il saldo tra entrate e uscite porta quindi a un risultato positivo per 2,1 miliardi di euro. Il secondo metodo, quello basato sui costi marginali, porta invece a un saldo positivo di 2,8 miliardi. «Rispetto agli anni precedenti – spiega lo studio della Fondazione Leone Moressa – vi è stato complessivamente un aumento sia dei costi che dei benefici. Da un lato, infatti, è aumentata la spesa per l’accoglienza ministero dell’Interno), passata da 1 a 2,7 miliardi (e destinata a crescere anche nel 2016); dall’altro l’inizio della ripresa economica ha determinato un aumento dell’Irpef e dei contributi previdenziali, oltre che un incremento dell’Iva. Una conferma del principio per cui la spesa per l’accoglienza (che attualmente si configura solo come un costo) può portare benefici nel medio periodo, se accompagnata da politiche per l’integrazione e l’inclusione lavorativa».

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