Nuovi ostacoli nel passaggio del gruppo Ilva dai commissari dell’amministrazione straordinaria alla società Am Investco guidata da Arcelor Mittal. Su richiesta del ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, l’Autorità Anticorruzione (Anac) è stata invitata ad aprire un’indagine per verificare se la procedura di gara che un anno fa portó Am Investco ad aggiudicarsi l’Ilva, battendo la concorrenza di Acciaitalia, sia stata regolare o meno.
L’accertamento chiesto da Di Maio - annunciato oggi alle commissioni Industria e Lavoro di Camera e Senato - nasce su sollecito del governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano. Confermando un’opposizione già nota verso la società aggiudicataria, Emiliano chiede al ministro di «disporre opportune verifiche sulla correttezza della procedura di gara espletata, eventualmente avvalendosi dell’Anac, organo deputato istituzionalmente alla vigilanza e controllo delle procedure di affidamento di contratti ad evidenza pubblica». Emiliano, in particolare, mette a confronto le due offerte in gara e sostiene che «la preferenza accordata» ad Am Investco «appare incongrua perché basata sostanzialmente solo sull’offerta economica senza alcuna considerazione degli aspetti qualitativi della medesima offerta».
Emiliano rammenta che la cordata Acciaitalia, di cui facevano parte Jindal, Cassa Depositi e Prestiti, Arvedi e Del Vecchio, «aveva proposto un piano ambientale da eseguire entro il 2021 con l’utilizzazione di tecnologie a minor impatto ambientale» come la decarbonizzazione del ciclo produttivo, tema sul quale Emiliano insiste da tempo e che ha ultimamente rilanciato anche in un incontro a Bruxelles con alcuni europarlamentari italiani. Altra questione sollevata dal governatore pugliese, il rafforzamento della posizione di Arcelor Mittal, con effetti sul mercato e sulla concorrenza, a seguito dell’acquisizione dell’Ilva.
L’invio degli atti all’Anac, non commentato ufficialmente nè dai commissari, nè da Mittal, viene giudicato con preoccupazione da alcuni attori della vicenda. Ma l’ex ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, che gestì sia la procedura che la conclusione della gara, si dice tranquillo sul punto. «Qualsiasi ulteriore verifica di legalità e conformità alle norme, è benvenuta» commenta Calenda. Nè Di Maio vede per ora il rischio che Mittal si sfili dall’operazione Ilva. «Sto avendo una buona interlocuzione con Arcelor Mittal in questo momento - dice il ministro - e con un rapporto molto franco e molto onesto, ci stiamo dicendo quello che va e quello che non va. Da questo punto di vista, mi permetto di dire che non ci sono oggi comportamenti o atteggiamenti dell’azienda che minacciano queste cose, anzi».
Appena lunedì scorso Di Maio ha visto Mittal al Mise. E prima dell’imprenditore, aveva incontrato i sindacati. Nessun accenno alla chiusura di Ilva, anzi l’impressione ricavata dai sindacalisti è che il ministro voglia lavorare per una soluzione. Non confermando certo il piano ereditato da Calenda ma apportandovi novità significative che diano un segnale concreto. E le novità stanno nell’ulteriore sforzo sia sul piano ambientale che su quello occupazionale che Di Maio ha chiesto alla società acquirente. Per i posti di lavoro, si tratta di venire incontro alle richieste dei sindacati, che non accettano esuberi rispetto ai circa 14mila addetti attuali di Ilva, mentre per il risanamento ambientale il ministro, pur prendendo atto dell’accelerazione delle tempistiche prospettategli dall’investitore - con un risparmio da 6 a 30 mesi su alcuni progetti rispetto alle scadenze del Dpcm -, chiede che si faccia di più. Ora, se sui posti di lavoro le distanze tra sindacati e Mittal non sono incolmabili - le parti stavano già trattando prima dell’inserimento del nuovo Governo -, sulla parte ambientale si tratta di capire dove Di Maio vuole collocare l’asticella e se questa è accettabile dall’investitore rispetto al suo piano industriale. Forse un possibile rischio rottura è qui più che sull’occupazione.
In quanto alla presa di posizione di Emiliano, diverse fonti vicine al dossier fanno notare che non solo la cordata Acciaitalia non esiste più ma molti aspetti sono già stati chiariti in quest’anno. Si preferì Am Investco ad Acciaitalia - si ricorda - perché offriva di più come prezzo di acquisto, 1,8 miliardi contro 1,2, tant’è che Acciaitalia tentò un rilancio in extremis a 1,850 trovando però l’alt di Calenda perché fuori tempo massimo. Sull’occupazione, poi, Acciaitalia assicurava retribuzioni più basse, l’impegno sulla decarbonizzazione non era a breve ma collocato in una fase successiva, e in quanto alla posizione in Europa il nodo è stato già sciolto da Bruxelles. Che ai primi di maggio, dopo un’istruttoria molto articolata, ha dato l’ok all’acquisizione di Ilva da parte di Am Investco a condizione che Mittal dismetta impianti e relative capacità produttive in Europa proprio per non alterare mercato e concorrenza. Cura dimagrante accettata da Mittal.
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