Da oggi al 27 di settembre, l’Italia non starà certo a guardare. «La filiera agroalimentare nazionale, dall’agricoltura all’industria, è già mobilitata. Ora occorre creare un fronte comune tra i Paesi della dieta mediterranea». E Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, questa battaglia ha deciso di combatterla in prima linea.
Qual è la posizione del governo italiano?
La Farnesina si è subito resa conto della pericolosità della situazione per il secondo comparto produttivo del nostro Paese, in particolare per le sue esportazioni, e si è subito attivata all’Onu a New York, con il nostro Ambasciatore Cardi e anche con un inviato speciale, l’Ambasciatore De Vito. Ha inoltre avviato contatti con Paesi come la Spagna, il Portogallo e il Nordafrica, potenzialmente interessati a fare asse con noi. Anche i ministeri dello Sviluppo Economico, dell’Agricoltura e della Salute sono impegnati: questa che sembra una battaglia per un’alimentazione più sana in realtà tutela i consumatori, ma le industrie che producono i sostituti chimici degli alimenti. Ma davvero qualcuno può pensare che prodotti spacciati come “alternativi”, ricchissimi di ingredienti ed additivi chimici, possano far meglio di una fetta di prosciutto o di formaggio di grande qualità?
Quale potrebbe essere l’impatto per l’industria italiana che esporta?
Sarebbe devastante per i produttori delle principali materie prime alimentari, come il latte, l’olio d’oliva, lo zucchero o le carni. E anche per la nostra industria di trasformazione agroalimentare. Uno studio dell’Abia, l’Associazione brasiliana dell’industria alimentare, ha calcolato che se tali misure venissero adottate, andrebbero persi 1,9 milioni di posti di lavoro nel settore industriale e le esportazioni calerebbero di 1,5 miliardi di dollari. Pensiamo di riportare questi dati in Italia dove l’agroalimentare, con i suoi 140 miliardi di fatturato e 400 mila impiegati, rappresenta il secondo settore manifatturiero del Paese.
La battaglia dell’Onu somiglia molto all’etichettatura a semaforo Gran Bretagna e Francia hanno introdotto sugli alimenti e a cui l’Italia si è più volte detta contraria.
Vanno assolutamente nella stessa direzione. Per fortuna, a parte Gran Bretagna e Francia, nessun altro Paese europeo ha poi proceduto a renderle obbligatorie. Le stesse multinazionali che avevano più volte annunciato di voler introdurre i semafori in Italia, alla fine hanno ritenuto di non procedere. Sul tema la Ue ha aperto un tavolo e si è data qualche mese di tempo per fare le proprie valutazioni. E a quel tavolo l’Italia porterà la sua proposta: va bene indicare in etichetta i valori giornalieri di riferimento, i cosiddetti Gda, ma bisogna rendere le indicazioni sugli apporti giornalieri più comprensibili per il consumatore. Che va informato, non impressionato.
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