Tra i difetti strutturali che riducono la produttività sistemica dell’Italia e rendono il Paese meno competitivo ci sono quelli che riguardano i trasporti e la logistica. Le carenze infrastrutturali del nostro Paese ci fanno perdere circa 34 miliardi di euro l’anno, due punti di Pil. I nostri autotrasportatori subiscono la concorrenza sleale degli operatori esteri. Le merci in Italia viaggiano più lentamente e con costi maggiori. Lo denuncia l’ultimo rapporto di Conftrasporto-Confcommercio (dal titolo: “Riflessioni sul sistema dei trasporti in Italia”) presentato in occasione del 4° Forum internazionale su trasporti e logistica di Cernobbio (Como). Il rapporto è stato realizzato dall’ufficio studi di Confcommercio in collaborazione con Isfort. Dunque, secondo Conftrasporto, il nostro è un Paese ancora largamente disconnesso, un Paese che fatica a far funzionare appieno l’intermodalità, cioè l’utilizzo combinato di diversi mezzi di trasporto (per esempio strada-ferrovia).
Un’analisi condivisa dall’Anita, l’associazione di Confindustria che rappresenta imprese di autotrasporto merci e logistica che operano in Italia e in Europa. «L’Italia – osserva l’Anita – nonostante sia il secondo Paese manifatturiero d’Europa, non riesce a migliorare le performance logistiche e resta al 21° posto nella classifica della Banca mondiale». Un caso: pur riuscendo i nostri porti a intercettare i traffici di lungo raggio con il Far East, «dobbiamo fare i conti con il congestionamento delle aree portuali e retroportuali, che genera allungamento dei tempi e aumento dei costi della filiera del trasporto».
In questo contesto – rincara Conftrasporto – non si fa rispettare il principio “chi meno inquina meno paga”, in base al quale si dovrebbe premiare con minori tasse chi usa veicoli più puliti, cosa che in Italia non avviene. Se l’Italia non vuole rinunciare all’ambizione di diventare un Paese logistico (in cui quindi si fa leva sull’industria logistica per la creazione del Pil nazionale) è necessario – sostiene Conftrasporto - che il Governo giochi la carta della sostenibilità dell’autotrasporto, che movimenta il 60,2% (in valore) delle merci nel nostro Paese.
Per la Confederazione una fiscalità equa è l’indispensabile primo passo in questa direzione. L’Italia ha la più alta incidenza fiscale dell’area Ue sul gasolio per autotrazione: 60,6% contro una media europea del 55,9% e le accise sui carburanti pesano 62 centesimi al litro. Secondo il dossier di Conftrasporto, i 391mila automezzi che circolano nel nostro Paese inquinano per un miliardo e 300 milioni di euro, ma pagano oltre tre miliardi di accise all’anno, più del doppio di ciò che dovrebbero. Il paradosso è che i mezzi (Tir) meno inquinanti sono i più penalizzati: secondo i calcoli di Conftrasporto, un Euro 6 paga 8.650 euro all’anno in più rispetto al danno ambientale prodotto. Nel 2017, infatti, un Euro 6 che ha inquinato per un costo di 3.806 euro, per compensare il danno ne ha pagati 17.929 in accise ambientali e recuperati 5.473 in rimborsi dallo Stato. In sostanza, ha versato tasse ambientali in eccesso per 8.650 euro.
Il sospetto per Conftrasporto è che questa tassazione, eccessiva e disordinata, sia tra i motivi determinanti di perdita di quota di traffico merci per gli operatori italiani: la beffa è che sulla nostre strade circolano mezzi provenienti dall’estero, spesso molto inquinanti e con accise inferiori. Tra il 2006 e il 2016, il traffico merci su gomma delle imprese dell’Est da e verso l’Italia è salito di oltre il 190%; sono concorrenti che possono contare su un costo del lavoro più basso (a un’impresa polacca un autista costa 12mila euro all’anno, a un’impresa italiana ne costa 35mila) e su una pressione fiscale inferiore (in Ungheria è la metà di quella italiana). Non solo: la tassazione eccessiva che grava sull’autotrasporto costituisce un freno al rinnovo del parco circolante, cioè la sostituzione dei mezzi più inquinanti con mezzi più puliti e sicuri.
«La sfida della sostenibilità può essere vinta - dice Paolo Uggè, vicepresidente di Conftrasporto - solo attraverso un accordo tra Governo e imprese che privilegi quelle che competono sui mercati europei, che investono in automezzi di ultima generazione, meno inquinanti e con tecnologie più sicure (per esempio Tir con la frenata assistita o il ribaltamento laterale). Così si potrebbero centrare due obiettivi strategici: minore inquinamento e maggiore sicurezza lungo le strade».
La sostenibilità dei trasporti e della logistica passa anche dallo sviluppo del trasporto ferroviario e dal trasferimento di quote crescenti di merci dalla strada alla ferrovia, come prevede anche il Libro bianco della Ue. Sul fronte ferroviario si attende ancora, ad esempio, l’adeguamento della rete italiana agli standard europei. Un forte impulso in tal senso dovrebbe venire dai grandi trafori alpini lungo le direttrici Italia-Svizzera e Italia-Austria: nel primo caso parliamo dei tunnel del Loetschberg (inaugurato nel 2007), del Gottardo (2016) e del Ceneri (da completare entro il 2020); nel secondo caso della maxi-galleria del Brennero in corso di realizzazione tra Fortezza e Innsbruck (da completare entro il 2025). Attraverso i valichi alpini transita oltre il 70% dei flussi import/export dell’Italia con gli altri Paesi Ue. Il bilanciamento del trasporto merci tra strada e ferrovia attraverso i valichi dovrà essere tra le priorità dei prossimi anni. C’è anche una buona notizia: il traffico merci delle autostrade del mare nei porti italiani è cresciuto del 43% negli ultimi dodici anni. Per gli anni a venire Conftrasporto auspica una strategia uniforme d’intervento sui porti e sulla “Nuova Via della Seta” (i traffici con la Cina) che tuteli prima di tutto gli interessi nazionali.
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