L’Italia è percorsa in lungo e in largo da più 35mila chilometri di grandi metanodotti di trasporto a lunga distanza, invisibili sotto città campagne foreste, insensibili a terremoti e altri eventi. Il Tap (Trans Adriatic Pipeline) che molti contestano e che il Governo ha appena riconfermato è un metanodotto del cosiddetto Corridoio Sud che, con 4,5 miliardi di investimento, servirà a portare in Europa il gas estratto in Azerbaigian dai giacimenti sotto il fondo del mar Caspio. L’intera tubatura, 40 miliardi di investimento complessivo, attraversa la Georgia, percorre in Turchia le montagne dell’Anatolia, passa i Dardanelli, attraversa la Grecia e le montagne dell’Epiro fino alla costa albanese.
Il Corridoio Sud assume diversi nomi secondo il tratto; per esempio il tratto anatolico si chiama Tanap (Trans Anatolian Pipeline)
mentre si chiama Tap il tratto Grecia-Albania-Italia e costa circa 4,5 miliardi.
Tutto il tratto fino alla costa albanese è stato già posato e in completamento.
Poi la tubazione s’immergerà nell’Adriatico per toccare il suolo italiano nel mare di fronte alla contrada San Basilio, frazione
San Foca, comune di Melendugno, provincia di Lecce, Regione Puglia, Italia. Dal mare il tubo arriverà fino al futuro terminale
di ricezione a 8 chilometri nell’interno, in contrada Masseria del Capitano a Melendugno, dove finirà il Tap propriamente
detto.
Questo tratto è in costruzione ma i lavori sono fermi.
Un’altra società, la Snam, dovrà posare altri 56 chilometri di tubazione attraverso il Salento per arrivare fino al gasdotto
della dorsale nazionale a Brindisi.
Questo ultimo tratto non è ancora avviato.
Melendugno, piazza Sandro Pertini. Socialismo
In provincia di Lecce ogni anno si abbattono o si spostano circa 40mila olivi per posare tubi del gas, condutture della fogna,
tubazioni dell’acqua potabile; per realizzare marciapiedi e canalette sul ciglio della strada; per nuove edificazioni. La
Puglia è attraversata da 14mila chilometri di tubi del gas: ma alcune tubature suscitano negli abitanti una dermatite sociale
intensa.
Ecco Melendugno. Diecimila abitanti, due dolmen preistorici, una chiesa pregevole dedicata all’Assunta, il palazzotto dei
baroni d’Amelj (il ramo s’estinse nel 1964 con la morte della baronessa Teresa). Melendugno è una cittadina di altissima
tradizione socialista. Per esempio a pochi metri da piazza Sandro Pertini (già piazza Vittorio Emanuele) c’è la sede del Partito
Socialista Italiano, già sezione Salvador Allende, oggi intitolata a quel Vittorio Potì che infiniti anni fa aveva tanto spinto
affinché la conduttura internazionale del metano approdasse non altrove bensì nella sua Melendugno.
Di là dalla piazza Pertini (con monumento a Pertini e le vetrine della Caffetteria Pertini) le altre vie che s’incrociano
a Melendugno hanno nomi evocativi:
• via Salvador Allende,
• via Lenin,
• via Maximilien Robespierre,
• via Filippo Turati,
• piazza Pablo Neruda,
• via Ferruccio Parri,
• via Carlo Marx,
• via Georges Danton
• piazza Pietro Nenni.
(Ma c’è anche via Peppino De Filippo).
Il sindaco Marco Potì, discendente della famiglia Potì che tanti politici di vaglia ha dato a Melendugno, è uno dei più attivi
contestatori del progetto Tap, affiancato dai comitati e dai movimenti rappresentati spesso dal vivace portavoce Gianluca
Maggiore.
Potì rifiuta con nobile sdegno perfino i 12 milioni di progetti sociali e ambientali offerti invano dalla società Tap.
La pista ciclabile? No.
La sponsorizzazione all’associazione? Giammai.
La ripulitura delle spiagge? No e poi no.
Il concorso letterario? Macché.
Per il sindaco rinunciare ai 12 milioni è più dignitoso che accettare il compromesso.
Brindisi, strada vicinale Gonella. Vigneto da abbattere
Si parla molto di Tap, però il progetto non riguarda solamente gli 8 chilometri di Tap fra la spiaggia adriatica e l’impianto
di ricezione a Masseria del Capitano, alla periferia di Melendugno. Un’altra società diversa dalla Tap, la Snam, dovrà posare
un differente metanodotto per arrivare, dopo 56 chilometri di oliveti, alla rete nazionale dei grandi gasdotti dorsali. La
stazione di trasferimento più vicina cui arrivare è nell’agro di Brindisi verso Mesagne.
Fermarsi in piedi e rotare su se stessi un giro completo a 360 gradi: sterpi, colture di ortaggi, pneumatici bruciati, ruderi di masserie abbandonate (in giugno in una di queste rovine fu scoperto un piccolo deposito di motorini rubati), donne africane in attesa, un oliveto, una nevicata di bottiglie schiacciate di plastica sul bordo della strada poderale, vigneti, all’orizzonte la danza dei tralicci dell’elettrodotto Terna, la torcia dell’impianto dell’Eni a Masseria Gonella. Il rombo in bassofrequenza dei camion arriva da laggiù, ultimo tratto della statale 7 Appia. Qui, strada vicinale Gonella, c’è la stazione terminale della Snam per la regolazione del flusso del metano all’estremità della Dorsale Adriatica.
Per far arrivare il metano dell’Azerbaigian bisognerà allargare il piazzale con i tubi; per farlo sarà spianato un piccolo vigneto sulla destra con le foglie rosse che circonda una casupola bianca di sasso, vittime inconsapevoli della sete italiana di energia.
Brindisi, molo Costa Morena Est. Il regno delle lepri selvatiche
Porto di Brindisi, molo Costa Morena, ex carbonile della centrale Brindisi Nord. Laggiù il profilo degli impianti Versalis
e Lyondell Basell del petrolchimico; dall’altra parte la centrale a carbone Brindisi Nord tenuta spenta e congelata e non
ci si potrà realizzare nemmeno un impianto per rifiuti perché comitati nimby e politici locali hanno detto no a tutto; di
fronte ci sono le bastionature cinquecentesche del Forte a Mare; in fondo ecco lo sbancamento di Capo Bianco che avrebbe dovuto
ospitare il rigassificatore della British Gas e che dopo una dozzina d’anni e spese infinite i comitati nimby e i politici
locali hanno bocciato.
Il piazzale pare senza confini e vi sono accatastati in file regolari e geometriche i 9.048 tubi lunghi 12 metri che formeranno
il tratti sottomarino del gasdotto. Diametro 36 pollici, cioè 0,91 metri.
I 9.048 tubi d’acciaio erano stati prodotti in Germania e in Scozia ed erano stati portati a Brindisi con nove mercantili carichi. Federica D., ingegnere, illustra i tubi secondo il tipo di “coating”, di rivestimento. Li conosce tutti. Li descrive: i tubi bianchi sono ricoperti di polietilene e sono perfetti per il mare più profondo, quelli grigi sono ricoperti di una malta cementizia (“concrete”, dice in inglese l’ingegnere Federica D.) e servono per i tratti a basso fondale.
Da un lato del molo Costa Morena è ormeggiata la nave officina Adhémar de Saint-Venant, bandiera lussemburghese.
Elmetto e giacca arancio alta visibilità, i tecnici della nave completano gli allestimenti. Sono già state caricate le palancole
sul ponte coperta. La nave è ferma in attesa di poter uscire in mare aperto e navigare fino al largo di San Foca, la spiaggia
di Melendugno, per allestire il punto in cui la condotta sottomarina entrerà nel sottosuolo del Salento senza emergere dal
mare.
La nave-officina come un battipalo dovrà configgere nel fondo una diga a mezzaluna e dovrà posare sul fondo del mare un larghissimo
lenzuolo di geotessuto in modo che, quando il passaggio del gasdotto perforerà il fondale, la nuvola di sedimenti non disturbi
i pesci, i cetacei e le piante marine della posidonia.
Devono essere sistemati gli idrofoni per ascoltare le voci di delfini e balene e i torbidimetri per fare in modo che l’acqua rimanga limpida. Fra i 9.048 tubi allineati sul piazzale senza fine corrono felici e indisturbate numerose lepri, di dimensioni ragguardevoli per la specie.
Melendugno, frazione San Foca, masseria Le Paesane. Sequestro
Uno degli 8 chilometri di Tap fra la spiaggia e il terminale di ricezione della Masseria del Capitano attraversa l’azienda
agricola Le Paesane, 60 ettari, 16mila olivi curatissimi che pare un giardino. In quel chilometro attraversato dal lotto numero
5 del percorso c’erano 446 olivi. Gli alberi sono stati georeferenziati al metro, ed è stato registrato anche il lato di esposizione
al sole, sono stati identificati con una targhetta di metallo che ne riporta nome e cognome (copio una targhetta legata al
tronco di un olivo: L1 P161), sono stati estratti dal terreno e portati al sicuro nella serra di Masseria del Capitano.
Quando le ruspe avranno scavata la trincea e posata la conduttura, poi lo stesso terreno di prima sarà rimesso esattamente
sopra al tubo e gli stessi 446 olivi saranno ripiantati nella stessa terra con precisione al metro, girati verso il sole con
le foglie orientate come prima.
Problema: da aprile l’area è sotto sequestro preventivo della magistratura, sequestro confermato qualche giorno fa dalla Gip
di Lecce con soddisfazione dei comitati No Tap. Qual è il problema? In primavera, nell’ennesimo ricorso per cercare di bloccare
l’opera, il Comune di Melendugno e i movimenti anti-Tap dissero che la zona delle Paesane è sottoposta a vincolo paesaggistico
e quegli olivi, no, non vanno toccati e la tubatura non deve passare in quel lotto 5.
Adesso tutto è fermo.
Brindisi, viale Regina Margherita. I lunedì della protesta
Lunedì No Tap. Ormai pare una tradizione, come il venerdì pesce. Da qualche tempo non c’è lunedì senza manifestazione dei
No Tap. Lunedì 8 ottobre alcune decine di No Tap con sventolamento di bandiere si sono ritrovati davanti alla Capitaneria
di porto di Otranto per protestare contro l’emissione dell’ordinanza che sino a fine anno vieta attività di pesca, navigazione
e balneazione nei tratti che sono interessati dalle rilevazioni degli idrofoni e delle altre misurazioni ambientali davanti
a San Foca.
Lunedì 15 ottobre alcune decine di No Tap con sventolamento di bandiere si sono ritrovati a Brindisi in viale Albert Einstein davanti all’ingresso del porto. La protesta era contro la nave Adhémar de Saint-Venant e contro le attività a mare. Lunedì 22 ottobre alcune decine di No Tap con sventolamento di bandiere si sono ritrovati davanti alla Capitaneria di porto di Gallipoli per protestare contro alcune concessioni date alla società Tap dal demanio marittimo.
Melendugno, frazione San Foca, contrada San Basilio. Nel cantiere
Dove finiscono gli arbusti della macchia costiera e comincia la monocoltura dell’olivo c’è il cantiere Tap. Rispetto a febbraio,
quando l’avevo visitato la prima volta, il cantiere è deserto. Allora, in febbraio, c’era un intrecciarsi di centinaia di attività in contemporanea, macchine da
lavoro incrociavano traiettorie fra apparecchiature e impianti, squadre di lavoratori sembravano formiche intente; fuori dalla
recinzione altissima di questa prigione camminavano a coppie o a terzetti le ronde del presidio No Tap e fotografavano da
fuori i reclusi del lavoro.
Oggi niente; battuto dalle raffiche di tramontana pungente di salso, il cantiere sembra abbandonato a sé stesso. Non più di
una dozzina fra tecnici e operai per i lavoretti di mantenimento. Perfino il presidio No Tap è stato smontato e sgomberato.
Il furgoncino del servizio mensa arriva con i vassoi riscaldati del catering senza bisogno di scorte armate; per la sicurezza è sufficiente una ventina di poliziotti invece degli schieramenti di 150-160 agenti. Il cantiere di San Basilio serve per realizzare il tunnel. Lo chiamano microtunnel, con un eufemismo per farlo digerire meglio, ma è una galleria del diametro di tre metri, ci passerebbe un furgone. A che cosa serve questo tunnel? E il cantiere?
Serve a far approdare la conduttura che arriva dal mare senza che il serpe d’acciaio disturbi nessuno in superficie. Funziona così: in mezzo alla campagna, un chilometro alle spalle dalle dune della spiaggia, è stata scavata una fossa cubica profonda una dozzina di metri. Sul fondo della fossa (dove non vi sarà alcuna persona) sarà posata la talpa, una Herrenknecht Tbm modello Avnd2000Ab, la quale durante l’inverno quando non ci saranno disturbi al turismo scaverà nel sottosuolo di roccia calcarea una galleria orizzontale lunga alcuni chilometri verso il mare.
Superata a gran profondità la spiaggia di San Basilio, dopo 800 metri di scavo sotto il fondo del mare, sotto le alghe e sotto
le tane delle cernie, la testa rodente della talpa farà capolino lontano, sul fondo del mare, e da lì si collegherà il tubo
sottomarino con l’Albania. Sopra, in superficie, nulla. Né a terra né in acqua. Nessuno vedrà nulla. Nessun fastidio a turisti.
Solamente il ronzare della testa rotante della talpa mentre roderà la roccia profonda.
Per ridurre gli effetti, attorno al punto in mezzo al mare da cui la talpa farà capolino dal fondale la nave Adhémar de Saint-Venant
realizzerà una diga temporanea a mezzaluna fatta di tavole d’acciaio, e sul fondo del mare la nave poserà un enorme lenzuolo
di geotessuto. Così sarà impedito che i sedimenti sollevati nell’acqua dalla testa della scavatrice possano intorbidare le
onde fino alla spiaggia e possano disturbare pesci e piante acquatiche.
Poi, posata la conduttura del gas, la diga provvisoria e il lenzuolo verranno tolti.
Melendugno, via Roma 31. Ritrovare un’identità
Silvano R. gestisce il “bar caffè gelateria Roma-dal 1954”. Oltre a gelati apprezzatissimi, il bar Roma vende belle stoviglie
di ceramica artistica dai colori coraggiosi e distribuisce oggettistica No Tap.
Sul bancone c’è un barattolo per la sottoscrizione di fondi («Cassa di resistenza No Tap») e si può spaziare su un’ampia scelta
di volantini:
• «Sosteniamoci contro la repressione solidarietà» (con Iban per le sottoscrizioni),
• «Perché No Tap né qui né altrove» (testi di Elena Gerebizza di Re:Common),
• «No Tap Imposto Inutile Dannoso» (associazione Tumulti).
• L’opuscolo «cosa è cambiato con TAP», promosso dalle Mamme No Tap su un progetto di Serena Fiorentino. Contiene brevi racconti,
pensieri e commenti di 21 persone del mondo No Tap. E alcuni sono rivelatori.
Dal libretto «cosa è cambiato con TAP». Andrea: «Tap mi ha fatto cambiare vita. Ho conosciuto persone che sono onorato di
avere al mio fianco, persone vere. Mi ha fatto conoscere una famiglia. È nata una nuova comunità». Elena: «Quando mi licenzio
da tutto e torno donna, torno io. E vivo la mia lotta e, insieme, il mio tempo migliore».
Che cosa dicono Elena, Andrea e mille altri? Nella pianura olivicola senza biodiversità del Salento piatto e ventoso nel sud-est
estremo d’Italia, dicono quello che avevo trovato anche in un mondo diversissimo e opposto, fra le montagne della val Susa
nell’estremo nord-ovest dell’Italia: attraverso la protesta molti ritrovano un senso.
In una società che, a Melendugno come ovunque, sta cambiando con velocità e sta smagnetizzando la bussola dell’individuo, la protesta No Tap (com’era quella No Tav a Susa) è un motivo di ricostituzione di una comunità, di individuazione di obiettivi condivisi, di ridistribuzione di nessi sociali e di relazioni. Nella condivisione di un nemico univoco e comune rinascono momenti di socializzazione, amori, amicizie che l’entropia sociale altrove dissolve.
Qualcuno nel movimento trova addirittura un’attività che diventa anche un lavoro, nell’impegno che esige una contestazione
a tempo pieno.
Qualcuno identifica nel nemico-Tap l’origine delle sue infelicità e delle inadeguatezze, vi rovescia la ferocia del lavoro
o al contrario la rabbia della mancanza di lavoro, vi rindirizza le frustrazioni che a tutti assegna la vita.
Come era accaduto a Saverio P., 52 anni, di Adrano, il quale a un evento della protesta aveva raccolto sassi grossi così e
aveva colpito duro, a sassate aveva ferito a sangue alcuni poliziotti ed è stato arrestato e poi condannato a qualche mese:
perché questo fervore contro un tubo?
Ecco: la battaglia contro il gasdotto è identitaria.
Per dovere documentale e professionale compro il libretto delle Mamme No Tap progettato da Serena Fiorentino (2 euro).
Melendugno, masseria del Capitano. Parallasse verso il futuro
Una spianata di terra rossa tormentata da una grandinata di sassi calcarei; il suolo mescolato alla sassaia è profondo appena
20-30 centimetri e bastano due colpi di vanga per trovare roccia insensibile e compatta. Su questo avvallamento di terra incoltivabile
per secoli si sono spaccate la schiena generazioni senza nome per riuscire a far vegetare qualche granaglia e sopravvivere.
Qui secondo il progetto nascerà l’impianto di ricezione dove finirà il gasdotto Tap, e passerà la mano alla Snam per la bretella di collegamento con la rete nazionale che arriverà a Brindisi. Per immaginare come sarà l’impianto dove oggi c’è un seminativo incolto e incoltivabile bisogna socchiudere gli occhi e traguardare una parallasse con il futuro. Da questo un lato dove c’è il cardeto pungente di spine saranno alzate, isolate per sicurezza da qualsiasi presenza o attività, due grandi torce per poter sfiatare la conduttura in caso di manutenzione, di avaria o di bisogno di riequilibrare la pressione nella tubazione.
In mezzo ci sarà la spianata con tubi, gabbiotti di calcestruzzo, valvoloni dipinti di giallo-metano e ci saranno i misuratori
del metano in arrivo, cioè contatori industriali del gas. In fondo, attorno a un vecchio pagliaro di sasso che sarà restaurato
come se fosse un trullo di pregio, saranno costruite le palazzine con l’ufficio, il magazzino, l’officina, la guardiania,
il servizio antincendio e così via.
Tutto sarà tinteggiato di un color grigioverde dalla tonalità uguale a quella delle foglie argentate degli olivi - beninteso
il colore degli olivi sani. Tutto attorno saranno piantate cinture alberate per velare allo sguardo l’impianto.
Melendugno, frazione San Foca, strada provinciale 366. Sabbia nera
Il tubo sottomarino (per il quale si aspetta di avviare il tunnel sotto la spiaggia) approderà a 800 metri al largo della
frazione turistica di San Foca, dove il mare è profondo una quindicina di metri, e senza uscire allo scoperto il serpente
d’acciaio striscerà nell’entroterra di Melendugno.
San Foca, affacciata sull’Adriatico, è il borgo balneare di Melendugno. In agosto le case — costruite nei decenni scorsi con
l’anarchia dell’edilizia d’arrembaggio — sono piene della vita e della vivacità espressa da migliaia di villeggianti; d’inverno
a San Foca restano poche decine di abitanti, 354 quelli censiti, vuoto il lungomare, chiuse le pizzerie, serrate le persiane
delle finestre. Così anche il carnaio estivo sudato, che riempie di infradito gli scogli dell’antica Roca e della Grotta della
Poesia, d’inverno è sostituito dall’ispirazione eremitica della tramontana feroce.
San Foca ha un porticciolo, nella torre antica c’è un ufficio della Capitaneria di porto (Delegazione di Spiaggia) e c’è una chiesetta dedicata a San Foca da Sinope, chiesetta che in questa stagione fredda e deserta rimane aperta solamente per la messa della domenica. Foca da Sinope, santo e martire, protettore delle persone morse dai serpenti e patrono di chi va per mare, era così teneramente altruista che per togliere d’impiccio i persecutori si scavò da solo la fossa.
La fossa del serpe d’acciaio del Tap passerà sotto gli stabilimenti balneari Mama Nera ed Enso, dove la sabbia è resa nera
dalle ceneri vulcaniche che il fiume Ofanto strappa al Vulture in Basilicata e trascina fino all’Adriatico.
Il bagno Mama Nera, arredi di sapore etnico dentro le baracche ora difese da tavolati invernali, d’estate è uno dei luoghi
più vivaci della protesta No Tap.
Melendugno, strada comunale San Niceta. Lari e penati
Oltre a san Foca il buonista che guarisce dai serpenti, l’altro santo che protegge Melendugno è san Niceta, cavaliere goto
con elmo e cimiero, cui sono dedicati
• un affresco sbiadito sulla torre dell’orologio in piazza Durante
• un monumento equestre di marmo candido in piazza Risorgimento (è scritta in greco la dedica al santo)
• un’abbazia medievale tra gli oliveti a nord della cittadina.
A fianco dell’abbazia fortificata di San Niceta, amatissima un tempo e oggi relitta alla periferia degli itinerari di pensiero
dei cittadini, il Comune volle costruire il cimitero, affinché il riposo senza fine avvenisse all’ombra protrettrice dei sacri
muri.
I cimiteri sono un libro in cui le lapidi sono pagine su cui leggere la comunità che è vissuta in un luogo, le persone, gli
amori e i dolori, i mariti devoti e le vedove inconsolabili, il transito delle guerre. Il cimitero di Melendugno a fianco
dell’abbazia di San Niceta è popolato di stirpi e genealogie di Petrachi, di Dima, di Mangè, di Potì e di Durante.
Da un lato, la cappella gentilizia dei baroni d’Amelj in stile eclettico neogotico preliberty postumbertino.
Amatissima a Melendugno la figura della giornalista, scrittrice, romanziera, poetessa Rina Durante (1928-2004), cui sono dedicati
• una statua di bronzo in via Mazzini
• il centro culturale nel vecchio edificio delle elementari in via Salvatore Potì
• la biblioteca dell’istituto industriale Fermi
• l’istituto comprensivo Melendugno-Borgagne
• giornate di studio, convegni, dibattiti culturali e altri eventi assortiti.
Questi lari, santi e antenati vigilano sulla comunità.
Ma su Melendugno vigilano anche altri numi, però viventi, come il letterato Erri De Luca citato — a volte anche a proposito
— dai comitati No Tap e come la brava attrice inglese Helen Mirren, che in Salento ha una villa di vacanza (accuse di abusi edilizi) e che è diva protettrice degli olivi di Melendugno.
Melendugno, via poderale Segine. Gli amici della xylella
L’agronomo Paolo P., marchigiano, spiega che cos’è la xylella fastidiosaparlando in mezzo agli olivi chiazzati di marrone color contagio, tonalità “khaki” nel colorimetro Pantone, sfumatura xylella. «La xylella è un batterio diffuso tra gli ulivi da una cicalina bianca, la cosiddetta sputacchina, un’aphrophorida. È un insetto pungitore, punge un ulivo malato e s’infetta di xylella, poi punge un ulivo sano e vi porta il contagio.
Il batterio si diffonde attraverso i canali linfatici dell’albero, e quando la colonia di batteri cresce di numero il canale
rimane intasato, la linfa non passa più e il ramo dissecca fino alla morte dell’albero intero». Il contagio è cominciato negli
olivi del tacco più profondo d’Italia, verso la punta di Santa Maria di Leuca, ed è risalito in tutto il Salento e oggi sfiora
la provincia di Bari.
Chi aveva proposto soluzioni come l’abbattimento dei primi alberi contagiati (quando ancora erano poche centinaia) o ricerche, studi urgenti, terapie importanti è stato maltrattato e sbeffeggiato dal “popolo degli ulivi”, che in larga parte coincide con il movimento No Tap. Attivisti del “popolo degli ulivi” e i loro testimonial, tra i quali anche attori, hanno sostenuto che la xylella è stata diffusa artificialmente dalla Monsanto per estirpare gli olivi salentini e sostituirli con olivi Ogm, oppure hanno asserito che la xylella è stata diffusa artificialmente dalla società Tap per sgombrare le campagne dagli alberi.
In tanti hanno impedito la cura, compreso il presidente della Regione Michele Emiliano (il quale poi per fortuna ha fatto un giusto dietro-front), ma hanno bloccato la lotta contro la xylella perfino alcuni magistrati, i quali invece di inquisire chi impediva le cure contro il batterio al contrario hanno messo sotto
inchiesta proprio quegli scienziati che stavano combattendo la xylella.
Si è ripetuto oggi lo stesso meccanismo che in un mondo delle superstizioni medievali aveva immaginato gli untori della peste,
linciando e uccidendo innocenti indicati dalla ferocia del popolo.
Ancora l’agronomo Paolo: «Questa provincia splendida soffre della mancanza di biodiversità, soffocata dalla monocoltura dell’ulivo.
Questa coltura cominciò a diffondersi soprattutto a partire dal ’500 quando l’olio salentino, a quei tempi poco pregiato dal
punto di vista organolettico, era apprezzatissimo in tutta Europa come olio lampante per le lampade, per i lumini, perché
poco fumoso».
Sparite le lampade a olio, gli alberi sono stati governati con potature e innesti in modo da esaltarne le qualità alimentari.
Melendugno, masseria del Capitano. I nemici della xylella
Scrisse mesi fa un’attivista No Tap: «Camion carichi di scheletri d’ulivo sfilano macabri». L’attivista descriveva il momento
in cui gli olivi venivano tolti dal cantiere Tap di San Basilio per essere trasferiti. E pensava di descrivere scheletri macabri
d’olivo destinati alla morte: la contestatrice No Tap non aveva capito che al contrario quelli, quegli olivi trasferiti per
consentire il passaggio al futuro gasdotto, saranno i soli olivi che si salveranno dalla xylella fastidiosa che sta massacrando senza pietà gli altri alberi della monocoltura salentina dell’olivo.
Alla Masseria del Capitano, a fianco dell’azienda agricola di Antonio C. & Figli ci sono i tendoni anti-xylella in cui vengono
custoditi gli olivi tolti dai cantieri Tap. Sono 3 tendoni di garza leggera, trasparente, velatissima: la tela deve lasciar
passare la luce del sole, non deve ostacolare il frusciare del vento, ma deve tenere fuori la cicala sputacchina e gli altri
insetti che portano il contagio.
Claudio S., milanese, ingegnere ambientale, chiama “cànopy” i tendoni. «Nel più vecchio ci sono 168 ulivi, nell’altro cànopy
ci sono 41 alberi, nell’ultimo ci sono i 446 ulivi del lotto numero cinque che era stato sequestrato dai giudici», spiega.
Cesoie e prodotti specifici, vi sono arboricoltori che potano i rami, controllano ogni giorno le foglie, rimuovono le sofferenze.
Hanno fatto l’analisi del sangue: nessuno di essi è malato di xylella.
Ogni albero è stato georeferenziato con precisione, con le coordinate Gps a metro a metro, in modo che finiti i lavori per posare il metanodotto ogni pianta tornerà dov’era, con la sua terra, con la sua esposizione al sole. I tendoni hanno una doppia porta per impedire l’ingresso di insetti e contagi e i sistemi di irrigazione per non far soffrire le piante in caso di siccità. Sotto le garze erano stati messi a riposo in tutto 656 olivi. Uno di essi, in attesa di poter tornare nella sua terra quando sarà posata la tubatura, è entrato nel “cànopy” già malato dal contagio; è stato rimosso.
Lecce, via Felice Cavallotti. Minacce di morte
Tranne le figure pubbliche, le persone citate in questo articolo non hanno le generalità scritte per esteso. Alcune fotografie
sono mascherate. Penso che non sia giusto mettere in difficoltà le persone che partecipano alle proteste, alle marce, ai cortei,
alle attività di presidio e di contestazione, e quindi ne ho rispettato la riservatezza. Ma non sono scritti per esteso nemmeno
i nomi di chi lavora per il progetto Tap: il personale è sottoposto a minacce continue.
In via Sozy Carafa a Lecce un mese fa una mano violenta e inammissibile aveva scritto con la vernice su un muro: «Bisogna uccidere Elia». Michele Elia è il country manager per l’Italia della società Tap. Leggo sul muro di via Felice Cavallotti di fronte al vecchio edificio delle Poste Centrali: «Colpire i complici di Tap». Minacce e atti vandalici contro le aziende fornitrici, come l’Alma Roma che segue la vigilanza, contro ricercatori e studiosi come il biologo Ferdinando Boero, contro gli operai che andavano a lavorare.
Interruzioni di eventi, come una conferenza dell’Università del Salento, e vandalismi contro i partiti politici e le associazioni
ritenuti “complici” nel progetto, come i circoli del Pd di Martano e di Carpignano, la federazione provinciale Pd di Lecce,
la sezione della Lega Nord di Martano, la Confindustria di Lecce.
Leggo su un volantino: «Far detonare la protesta. Perché per bloccare TAP occorrono azioni dirette, non ricorsi al Tar o petizioni». Le scelte lessicali hanno un valore, e qui è stata scritta con precisione sconcertante la locuzione “far detonare”: come era stata fatta detonare oscenamente la bomba carta che ha sgretolato le vetrine dell’Adecco, colpevole di avere dato nel progetto del metanodotto il lavoro a chi lo cercava.
Tutte le foto di questo reportage sono state scattate da me medesimo con il telefonino.
© Riproduzione riservata