Tra il Congo e il futuro dell’auto elettrica c’è un legame quasi indissolubile. Senza le miniere di cobalto dell’ex Zaire nessuna casa automobilistica potrebbe ambire a raggiungere gli ambiziosi “obiettivi verdi” che si è prefissata. Il colosso tedesco Volkswagen, per esempio, intende portare la produzione di veicoli elettrici a un quarto del totale già nel 2025. Spingendosi più in là nel tempo, General Motors si starebbe preparando per un futuro dove gli idrocarburi saranno un ricordo.
Il cobalto è una parte fondamentale delle batterie agli ioni di litio usate nelle auto elettriche (circa 9-10 kg ciascuna), oltre che nei milioni di smartphone venduti nel mondo e in altri apparecchi digitali. Ma questo richiestissimo minerale si trova soprattutto in Congo. Nel 2017 due terzi della produzione mondiale sono arrivati dalla provincia sud-orientale di Lualaba. I giacimenti più ricchi sono nei pressi della città di Kolwesi, dove si trova la metà delle riserve mondiali.
Non esiste per nessuna materia prima una tale concentrazione territoriale. E la cronica instabilità del Congo (con violazioni su larga scala di diritti umani) rappresenta per il mercato un “rischio geopolitico”. Negli ultimi due anni Kolwesi è stata teatro di una corsa all’oro. Centinaia di migliaia di minatori improvvisati si sono riversati nelle miniere artigianali, per scavare 12 ore al giorno e poi consegnare il minerale agli intermediari (quasi tutti cinesi) per pochi dollari.
Nel 2016 è stata proprio Amnesty international a documentare su larga scala casi di minori e adulti impegnati a estrarre il cobalto in tunnel strettissimi, a rischio di gravi malattie polmonari. Cobalto entrato poi nella catena di fornitori dei grandi marchi mondiali. Circa 25 le aziende elettroniche e di automotive colpevoli, secondo Amnesty international, di non aver usato la diligenza dovuta per verificare se il cobalto utilizzato nelle filiere provenisse da lavoro minorile nelle miniere artigianali. Amnesty ha evidenziato che alcuni giganti «non sapevano neanche da dove provenisse il cobalto presente nelle loro batterie».
Ma fino a quando la domanda di cobalto continuerà a crescere, del Congo sarà davvero difficile fare a meno. Secondo Darton Commodities, la domanda di questo minerale, solo per quanto concerne le batterie al litio, dovrebbe triplicare entro il 2025, per poi raddoppiare ancora entro il 2030, raggiungendo 357mila tonnellate l’anno. Merito soprattutto delle auto elettriche. Per la società svedese EV-Volumes, proseguendo all’attuale tasso di crescita, nel 2030 otto nuove auto su dieci saranno elettriche.
L’esponenziale aumento della domanda ha innescato una “febbre del cobalto”. Al London Metal Exchange la quotazione del minerale è cresciuta del 340% dai circa 10 dollari per oncia del gennaio 2016 ai 44 dollari dell’aprile 2018. La speculazione ci ha messo del suo (da aprile a settembre il prezzo ha perso il 20%), ma i fondamentali restano solidi.
Incalzate da Ong e consumatori, le case automobilistiche sono impegnate in una competizione per chi riuscirà a usare meno cobalto nelle batterie. Elon Musk, Ceo di Tesla, ha annunciato di voler fabbricare batterie prive di cobalto già per la prossima generazione di veicoli Tesla. Volkswagen ha invece creato una partnership con QuantumScape, startup di San Jose, per creare una batteria cobalt-free. Ma si tratta di traguardi lontani. «Siamo davvero ad una fase iniziale», ha precisato Axel Heinrich, direttore ricerca di Volkswagen.
Lo stesso vale per l’entrata in produzione di nuove miniere. Il timore che la Cina riesca ad accaparrarsi metà dell’offerta di cobalto ha contribuito a far partire progetti di esplorazione in Australia, Papua Nuova Guinea, Canada, Usa. Ma servirà tempo.
Oggi non si può prescindere dal Congo. E per le compagnie che acquistano cobalto da questo Paese i minatori indipendenti, tra cui decine di migliaia di minori (si calcola che estraggano il 20% della produzione), rappresentano un problema. Perché è virtualmente impossibile garantire ai consumatori di iPad, smartphoneo auto elettriche che nessun bambino sia stato costretto a scavare nei tunnel o a trasportare sacchi del cobalto presente in queste apparecchiature.
Apple ha prima annunciato di aver identificato ogni fonderia nella sua supply chain e di averla sottoposta all’audit di aziende indipendenti. Nel 2017 è poi diventata la prima ad aver pubblicato la lista dei suoi fornitori di minerali. Ma anche così, non si può sapere con certezza chi è coinvolto nel business. La tecnologia blockchain, già usata per i diamanti, potrebbe venire in aiuto. Due società, Dlt Labs e Cobalt Blockchain, stanno sviluppando una piattaforma digitale al fine di tracciare la provenienza del cobalto. Ancora Apple poi ha creato un programma per dirottare il lavoro minorile dalle miniere a corsi di formazione per nuovi lavori. Ma sono gocce in mezzo al mare.
Le strade seguite, però, sembrano quelle giuste. Anche per il cobalto estratto in Congo è possibile uno sviluppo sostenibile. Anzi, è doveroso.
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