Dall’elicottero partito un’ora prima dalla capitale della Colombia, Bogotá, appare evidente che la rara bellezza della regione del Boyacá non ha nulla da invidiare all’Amazzonia: un polmone verde scavato dal Rio Minero, incontaminato. Quasi toglie il fiato pensare che analogo splendore verde giace sotto terra, in attesa di essere portato in superficie.
Qui si estraggono gli smeraldi più preziosi del mondo, unici per colore e purezza. Belli e dannati per decenni, al centro di una sanguinosa «guerra verde» da circa 3.500 morti, alimentata anche da narcotrafficanti attratti dal facile riciclaggio di denaro sporco. Quella guerra è finita negli anni 90, ora la Colombia vuole voltare pagina e il nuovo governo di Iván Duque Márquez intende aumentare le agevolazioni alle imprese estere per attrarre investimenti nel Paese, che sperimenta una difficile pacificazione con i guerriglieri delle Farc. Le criticità non mancano, come la povertà diffusa di vaste fasce della popolazione, a partire dai minatori.
La discesa in miniera.
Iniziare da qui un viaggio sull’inizio dell’economia circolare, l’approvvigionamento responsabile di materie prime (il responsible sourcing), è una sfida nella sfida: sembra una missione impossibile, in un territorio così complesso e torturato dai lutti (220mila morti in 52 anni di conflitti con i guerriglieri). «Ma qui si produce il 45% degli smeraldi del mondo ed è proprio in questi epicentri complessi di interessi confliggenti che bisogna seminare di più i concetti di legalità e responsabilità: per questo abbiamo accolto l’invito della Colombia a svolgere a Bogotá il congresso di Cibjo - The World jewellery confederation, focalizzato sul responsible sourcing», spiega il presidente Gaetano Cavalieri, italiano a capo dell’unica associazione mondiale che rappresenta all’Onu la filiera di pietre e metalli preziosi, gioielli e negozianti (sette milioni di imprese). È stato Cavalieri a organizzare, per il service sostenibilità dell’associazione non profit Canova Club Milano, l’ispezione nel polmone verde del Boyacá, dove la società concessionaria Esmeraldas Santa Rosa, guidata dal presidente dell’Aprecol (associazione dei produttori di smeraldi colombiani) Edwin Molina, indica la via per produrre smeraldi “responsabili” a partire da una corretta gestione della miniera.
L’elicottero atterra in una città mineraria ordinata, ben inserita nella natura, con file di alberi davanti agli alloggi, una mensa comune con cibo di alta qualità, un centro coordinamento per eventuali soccorsi, infermeria, bidoni per la raccolta differenziata dei rifiuti. Nessun residuo è sversato nel fiume: i detriti di roccia sono portati in centri raccolta e messi a disposizione della popolazione, che può tenere le piccole pietre sfuggite alla selezione e rivenderle. Nessuno scavo è a cielo aperto: vietato per legge. Dopo il pranzo, la siesta, il briefing, la ginnastica e la preghiera tutti assieme, i minatori entrano in miniera. E noi con loro.
Non è una passeggiata scendere quasi 100 metri sotto terra, superando dislivelli e montacarichi. A tratti c’è acqua a terra, per le infiltrazioni del Rio Minero. Fa caldo e si cerca il sollievo dell’aerazione forzata. I minatori trascinano carrelli colmi di pietre, si fermano per sorseggiare bibite. Ogni squadra ha pompieri, addetti alla sicurezza, agli esplosivi, ai martelli pneumatici, al trasporto e uomini di fiducia della proprietà con in tasca buste autosigillanti dove custodire gli smeraldi trovati. Dopo otto ore di questo lavoro, il meritato riposo. Gli stipendi sono di livello colombiano, tra i 250 e i 400 dollari al mese in media, ma almeno sono fissi: altrove, chi non trova smeraldi non viene pagato a oltranza e le condizioni di lavoro sono proibitive. Dopo tre settimane di lavoro, si va a casa per 14 giorni. «Il responsible sourcing deve partire da qui: trattare bene i lavoratori, garantire loro sicurezza, prendersi cura delle famiglie agevolando in particolar modo la formazione dei bambini; poi viene il rispetto dell’ambiente per mitigare l’impatto generato dall’attività estrattiva», spiega Edwin Molina al congresso Cibjo, al termine della visita nel Boyacá.
Il viaggio delle materie prime.
Il rientro dalla miniera nello sfarzo del Grand Hyatt Hotel di Bogotá, fra milionari e super manager confluiti da tutto il mondo e cene di gala con sfilate di miss coperte di smeraldi, è lo specchio delle diseguaglianze del pianeta. Ma senza questi imprenditori che provano a darsi regole etiche e ambientali la vita di milioni di lavoratori sarebbe un inferno, come quella di 40 milioni di minatori “artigianali” che in condizioni estreme procurano la sussistenza per sé e per altri 60 milioni di persone. Ecco perché, al congresso Cibjo, Tyler Gillard, capo dei progetti settoriali dell’Unità di condotta responsabile delle imprese dell’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), ravvisa «segnali incoraggianti da parte di un’industria importante, a partire dalle Linee guida sul responsible sourcing presentate da Cibjo, su cui anche l’Ocse è stata consultata». Ma richiama alla piena applicazione della Guida Ocse in materia di due diligence per catene di approvvigionamento responsabile di minerali, per assicurarsi che nel lungo viaggio tra le miniere e i produttori di beni finali, le imprese non contribuiscano a violazioni di diritti umani e al finanziamento di gruppi armati e di contrabbandieri. «È il momento di raddoppiare gli sforzi per gestire le operazioni e le supply chain eticamente», afferma.
Perché adesso? Lo spiega Luca Maiotti, policy analyst all’Ocse a Parigi. «Voi imprenditori e manager - dice - di certo non volete che il business sia rallentato da incertezze normative che potrebbero limitare le opzioni di approvvigionamento o di accesso al mercato e far salire i costi operativi per dazi doganali: il responsible sourcing è uno strumento di gestione del rischio». Oltretutto, cambiare conviene. «Una ricerca sui consumatori millennial dei Paesi Ocse ha rilevato che il 70% è disposto a pagare di più i beni prodotti in modo responsabile - racconta -. E uno studio dell’Harvard Business school dimostra che alle imprese con buoni risultati su indicatori sociali e ambientali corrispondono migliori performance finanziarie, in media del 2,5% nel lungo periodo».
Essere responsabili conviene sempre. Ed è un dovere morale. Non a caso, la vicepresidente del nuovo governo della Colombia conclude il congresso Cibjo con un appello: «Non c’è sviluppo economico sostenibile senza salvaguardia del capitale naturale, umano, familiare, senza rispettare i lavoratori e garantire condizioni di vita di alto livello; l’industria mineraria ha fatto enormi passi avanti ma ora bisogna alzare la qualità delle politiche responsabili», afferma con enfasi Marta Lucìa Ramírez.
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