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Rifiuti, il «modello Treviso» brucia…

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Rifiuti, il «modello Treviso» brucia nell’inceneritore di Padova

Rifiuti: avete presente il decantato “modello Treviso” che non ha l’inceneritore e raggiunge l’82% di raccolta differenziata? È facile essere ecologisti con l’inceneritore degli altri: Treviso manda a bruciare nel termovalorizzatore dei vicini padovani i rifiuti che non riesce a smaltire o a riciclare. Ogni anno 12mila tonnellate di spazzatura trevisana fiammeggiano nell’impianto Hera di Padova.
Insomma — pur con dimensioni virtuosissime e con qualità ambientali invidiabili — tuttavia alla fine l’ecologica Treviso fa ciò che fanno più disgraziatamente Napoli e Roma: piazza negli inceneritori altrui ciò che non riesce a smaltire in casa sua.

In queste settimane il dibattito sui rifiuti, sulla raccolta differenziata e sugli inceneritori ha visto una gara fra chi asseriva soluzioni definitive e risposte apodittiche. C’è chi ha citato il modello Copenaghen, il cui inceneritore nuovissimo ha appena inaugurato sul tetto inclinato una pista di sci realizzata dall’azienda leader nelle piste di plastica (la Neveplast di Albano San’Alessandro). C’è chi al contrario ha invocato il “modello Treviso”, perfettissimo esempio di riciclo virtuoso.

Poco citato invece il caso di Ferrara, ancora più virtuoso di Treviso. E perfino Ferrara, alla fine di tanta virtù, manda nell’impianto di Padova il rusco che avanza.

Il fabbisogno di impianti
Il termovalorizzatore, è bene ripetere, con le tecnologie oggi disponibili è ancora insostituibile per chiudere il cerchio dell’economia del riciclo dopo che tutti i materiali rigenerabili sono stati tolti alla discarica e sono stati destinati alla rigenerazione.
Che i rifiuti si chiamino scoasse come a Treviso oppure monnezza, rumenta, spazzatura, rusco, ruera, immondizia, sudicio, rudo e loro varianti, la raccolta differenziata non è la soluzione unica, non è il fine né l’obiettivo: la raccolta differenziata è solamente uno strumento preziosissimo con il qual ottenere materiali più riciclabili, un mezzo per toglierne quelli non riutilizzabili da destinare alla termovalorizzazione che completa l’economia circolare.
Secondo lo studio Was presentato ieri dagli analisti di Althesys, in Italia servirebbero 56 inceneritori perfino se si arrivasse al 65% di raccolta differenziata, 16 se tutta l’Italia arrivasse ai livello di raccolta di Treviso o di Ferrara.

Non bastano gli inceneritori con ricupero di energia né è sufficiente la raccolta differenziata. Servono impianti di selezione dei materiali, e soprattutto impianti di rigenerazione per ottenere nuovi materiali riciclati che il mercato oggi non chiede, e che si accumulano negli impianti di trattamento e selezione di plastica, carta e vetro.
Servono inoltre molti più impianti di dimensioni grandi ed efficienti (non il centinaio di impiantini locali proposti da alcuni) per i rifiuti umidi, per produrre compost agricolo o metano come l’impianto di dimensioni industriali per la produzione di biometano dai rifiuti organici avviato pochi giorni fa a Sant’Agata Bolognese.

Il modello Treviso
Nella Gioiosa Marca (questo il nome del Trevisano) nei bidoncini della raccolta differenziata delle scoasse viene raccolto in media l’82% della spazzatura: tutti i Comuni sono sopra l’80% e qualcuno raggiunge il 90%.
Secondo Contarina, una delle due società che con efficacia gestiscono la raccolta, i trevisani nel 2016 hanno avuto una produzione pro capite di rifiuti di 386 chili l’anno (e un residuo da incenerire perché non riciclabile pari a 58 chilogrammi per abitante, il 15%) contro i 497 della media italiana e i 477 delle media europea.
Le tariffe per i cittadini serviti da Contarina sono state in media di 185,6 euro l’anno, contro i 304,8 della media nazionale.

Il modello Ferrara
Secondo le stime di Hera su Ferrara, la raccolta differenziata nei primi sei mesi del 2018 è salita oltre l’85%, superando Treviso e perfino i primi della classe di Pordenone. Viene poi effettivamente riciclato il 93% di quanto differenziato dai ferraresi. Il ciclo dei rifiuti a Ferrara genera 2,6 miliardi di euro di fatturato e impiega oltre 8mila lavoratori in 27 imprese attive nella cosiddetta economia circolare.

Il termovalorizzatore di Padova
Nell’impianto di Padova sono bruciate ogni anno 166 mila tonnellate di rifiuti, alla media di 454 tonnellate al giorno (la potenzialità è di 520 tonnellate quotidiane). Si tratta di un termoutilizzatore di dimensioni medie, non ha la taglia di quelli di Acerra (Napoli) con 600mila tonnellate o di quello di Brescia con 800mila tonnellate l’anno.
L’impianto padovano trasforma in energia 12mila tonnellate l’anno di rifiuti trevisani, pari al 7,5% delle scoasse bruciate dai padovani, e altre 12mila arrivano da altri vicini, cioè da Venezia.
In tutti i casi, le scoasse di Treviso e di Venezia e il rusco ferrarese usati da Padova provengono tutti da scarti irriciclabili trovati nella raccolta differenziata. L’impianto utilizza quei rifiuti come combustibile per immettere nella rete elettrica la corrente consumata da circa 100mila famiglie (88 milioni di chilowattora l’anno).

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