I grandi patrimoni possono dare un contributo determinante allo sviluppo dell’economia reale, favorendo quel circolo virtuoso di cui da anni si parla e che dovrebbe portare più risparmio verso le imprese. «Proprio la recente ricerca che abbiamo commissionato al Censis sul valore sociale del private banking rivela che oltre il 50% della popolazione desidera che una parte delle ricchezze dei piu benestanti dovrebbero essere finalizzate allo sviluppo economico del paese - ricorda Antonella Massari, segretario generale di Aipb (l’Associazione italiana private banking)-. Dalle nostre analisi c’è evidenza del fatto che i patrimoni delle famiglie private sono largamente diversificati, assistiti da consulenza evoluta, senza esigenza di immediata liquidabilità e quindi adatti ad investimenti di medio e lungo periodo, ideali per finanziare i progetti di sviluppo delle imprese».
Se si guardano proprio i portafogli delle famiglie private si vede infatti che la presenza di investimenti illiquidi è contenuta. «Questa allocazione dunque, a fronte di regole chiare (trasparenza della governance, prospettive di medio e lungo termine chiare, valutazione a monte dei rischi) - aggiunge Massari - potrebbe crescere».
È stata la spinta arrivata dai Pir (piani individuali di risparmio) che sono nati proprio con questa logica ad aver dato nel 2017 una grossa accelerazione al segmento Aim che è letteralmente esploso (e proprio oggi in Borsa italiana dalle ore 8.30 c’è Aim Investor Day, incontro tra Pmi quotate e investitori). Aim Italia è il segmento di Piazza Affari, sull’esempio di quello inglese, destinato alle Pmi eccellenti che vogliono approdare in Borsa con un percorso facilitato. Secondo l’Osservatorio di Ir Top Consulting, un universo 113 società quotate (+19% vs 2017) con una capitalizzazione di 7,4 miliardi di euro (+20% vs 2017). L’identikit dell'azienda di questo segmento di mercato ha un flottante medio da Ipo pari in media al 22% (al netto delle Spac), una capitalizzazione di 38 milioni e ricavi di poco superiori ai 40 milioni di euro. I settori più rappresentati sono finanza (21%), industria (18%) e media(14%). Ammonta a 4,1 miliardi di euro la raccolta complessiva (derivanti dalle Ipo, gli uomenti di capitale e l’emissione diBond)delle società Aim. Il flottante medio da Ipo è pari al 22% (al netto delle Soac).
Per quanto i mercati da qualche mese non siano favorevoli, «prosegue da parte degli imprenditori il forte interesse a valutare le potenzialità della quotazione su Aim , anche in questo contesto di mercato che vede gli investitori particolarmente selettivi», spiega Anna Lambiase, amministratore delegato e fondatore di IR Top Consulting, advisor finanziario per Aim. Nel 2018 ci sono state 24 nuovi approdi sul listino per una raccolta di 1,3 miliardi di euro (8,2 milioni raccolti in media nel 2018, al netto delle Spac, le special purpose che hanno vivacizzato il mercato).
Ma chi investe nell’Aim? Sono 102 investitori istituzionali, 25 italiani (24%) e 77 esteri (il 76%, rispetto al 62% del 2017)
per 720 milioni di investimento complessivo. Si contano 660 partecipazioni (343 a luglio 2017) e 6 partecipazioni per investitore.
Ammonta a 1,03 milioni di euro il valore medio della singola partecipazione. Le società maggiormente partecipate dagli investitori
sono Orsero, ICF Group, Italian Wine Brands. «Quest’anno abbiamo supportato la quotazione di una società digitale, Circle,
di una nutraceutica, Kolinpharma, di una startup media, Portobello, e di una green, Renergetica - aggiunge Lambiase -; per
i primi mesi del 2019 porteremo in Borsa aziende che operano nei settori industriale, lifestyle e fintech. Le richieste di
quotazione arrivano soprattutto da Pmi che operano in nicchie del comparto industriale e nell’ambito tecnologico con forte
componente di innovazione. Queste guardano all’accesso al mercato dei capitali come ad uno strumento per la crescita e l'internazionalizzazione
della propria società, anche attraverso acquisizioni». Come spiega l’esperta, l'imprenditore che guarda alla Borsa deve essere
consapevole che la quotazione può facilitare anche il passaggio generazionale rappresentando un'opportunità per modernizzare
la gestione aziendale e razionalizzare la propria governance, permettendo al contempo all'impresa familiare di mantenere l'autonomia
decisionale e gestionale visto che la quota di controllo media in capo all'emittente resta pari al 78 per cento.
@lucillaincorvat
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