Lo scontento delle zone dimenticate sta colpendo, secondo un report della Brookings Institute, un importante think tank americano,
il cuore dell'Occidente e i suoi equilibri consolidati. Il titolo del report è “Countering the geography of discontent: Strategies
for left-behind places?” Ovvero “Contrastare la geografia del malcontento: strategie per recuperare le aree depresse”. Che
fare per trovare soluzione al problema?
L'immigrazione irregolare e le diseguaglianze sociali ed economiche delle zone marginalizzate dalla globalizzazione stanno alimentando movimenti populisti che rischiano di cambiare l'equilibrio del potere così come avvenuto il 23 giugno 2016 con il referendum della Brexit, l'8 novembre 2016 nella schiacciante vittoria di Donald Trump su Hillary Clinton per l'elezione della Casa Bianca, e il 4 marzo 2018 nel voto in Italia.
La rivolta dei Gilet Jaunes
Ora è la volta dei Gilet Jaunes, dei giubbotti gialli in Francia che si oppongono, con il petrolio ai minimi, ad un aumento
di 4 centesimi su diesel. Ovviamente è un pretesto, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, per esprime, nel rapporto tormentato
tra città e campagna, tutto il disagio di chi (i “dimenticati” secondo la narrativa Trumpiana) resta ai margini della ricchezza.
Brookings propone una ricetta di investimenti sulla formazione digitale, maggiori investimenti nelle reti di connessione anche
nelle zone periferiche (e quindi meno redditive), iniziative di micro-credito con l'invito ad una maggiore mobilità. Cioè
essere pronti a fare la valigia ed emigrare.
Una ricetta che ancora una volta rischia però di non capire fino in fondo i motivi identitari della nuova protesta sociale
e l'attaccamento ai luoghi di nascita in un confronto serrato tra periferia-centro, città-campagna.
Stranieri nella propria nazione
Subito dopo la vittoria di Trump l'8 novembre 2016 Marine Le Pen festeggiò. Un nuovo mondo inesplorato si era aperto davanti
ai populismi europei dopo il sorprendente voto americano dove erano saltati definitivamente i vecchi schemi politici pre-Brexit.
E di fronte a questa nuova realtà geopolitica i populismi europei festeggiarono quella che è stata definita da alcuni sociologi
americani, - come Arlie Russell Hochschild, fortunata autrice di “Stragers in their Own Country”, Stranieri nella propria
nazione, un libro basato sulla esperienza sul campo di cinque anni tra i supporters dei Tea Party in Louisiana - , la “vendetta”
elettorale della working class bianca che si era comportata come una minoranza etnica pur essendo il 40% dell'elettorato Usa,
concentrandosi compatta su un candidato anti-establishment e di rottura. L'operaio bianco arrabbiato e disoccupato è stato
il personaggio antropologico di quella nuova maggioranza silenziosa, che ha dominato quella incredibile consultazione elettorale.
Intanto a New York tanti intellettuali e giornalisti americani, a due anni dal voto dell'8 novembre 2016, continuano a non
capire la tenuta di popolarità di Donald Trump.
Ora tocca alla Francia, al mondo rurale dimenticato. L'Eliseo dovrà cominciare a guardare più attentamente anche alle sue
periferie dimenticate se non vuole fare l'errore di sottovalutazione della protesta operaie che covava sotto la cenere nelle
aree depresse (rust belt) colpite dalle delocalizzazioni, fatto a su tempo dal candidato democratico Hillary Clinton. La storia
francese invita a non sottovalutare mai i Cahiers de doleances, i quaderni delle rimostranze, che arrivano dalle Vandee del
Paese profondo.
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