Per capire quanto sarà luminoso il futuro delle rinnovabili anche al di fuori dell’Europa, basterebbe un dato: i 132,6 miliardi investiti nel 2017 dalla sola Cina nelle fonti “green”, principalmente sul solare, che rappresentano il 39,8% del totale del pianeta. E che soprattutto confermano il ribaltamento degli equilibri mondiali sul fronte della produzione di energia verde negli ultimi sei anni. Fino al 2011, infatti, lo sforzo messo in campo nelle rinnovabili era riconducibile prevalentemente all’Europa e all’Africa, con un picco massimo di 141 miliardi per l’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa). A partire dall’anno dopo, però, l’esborso del Vecchio Continente si è andato riducendo, mentre aumentava la scommessa verde dell’Asia Pacifica che oggi, non a caso, grazie al traino della Cina, rappresenta il maggiore investitore al mondo con i 187 miliardi rilevati nel 2017. Quanto alla tecnologia prevalente, fino al 2010 a prender piede è stato soprattutto l’eolico a livello globale per poi lasciare spazio al solare che nel 2015 ha raggiunto il picco con 179 miliardi investiti.
Un trend in crescita, dunque, quello delle fonti “verdi” su scala mondiale soprattutto per via della spinta dettata dalla necessità di assicurare il raggiungimento dei target fissati dagli obiettivi Onu (Sustainable development goals) entro il 2030 e di quelli indicati nell’accordo di Parigi che la conferenza Cop24 sulla lotta ai cambiamenti climatici, di scena in questi giorni a Katowice, in Polonia, dovrà comunque provare a tradurre in impegni puntuali. Tuttavia, anche se le tecnologie pulite continueranno a correre nel futuro, per centrare gli obiettivi climatici serviranno anche altre soluzioni, come evidenzia l’Agenzia internazionale per l’Energia (Iea) nell’ultima edizione del “World Energy Outlook” pubblicata a fine ottobre e che sarà presentata a Roma giovedì, presso il quartier generale dell’Enel, dal direttore esecutivo della Iea, Fatih Birol, e dall’ad del colosso energetico, Francesco Starace.
Secondo il rapporto, infatti, per rimetterci in asse con la direzione tratteggiata a Parigi, occorre una crescita consistente e costante delle fonti rinnovabili: queste, nello scenario Sds (Sustainable Development Scenario), che delinea un approccio integrato per raggiungere obiettivi concordati a livello internazionale sul cambiamento climatico, la qualità dell’aria e l’accesso universale all’energia moderna, arrivano a coprire nel 2040, sia in modo diretto che indiretto tramite l’elettrificazione degli usi finali, il 60% del mix elettrico, il 25% dei consumi termici (rispetto all’attuale 10%) e quasi il 20% di quelli relativi ai trasporti (a fronte del 3,5% di partenza). In questo modo, la quota di consumi soddisfatta da fonti non fossili passerebbe dall’attuale 19% a oltre il 40%, mentre nel New Policy Scenario (Nps), che tiene conto delle politiche e degli obiettivi annunciati dal governo, inclusi gli effetti delle strategie decise nell’ambito dell’accordo parigino, si fermerebbe al 25 per cento. A conferma che carbone, gas e petrolio, continueranno a essere cruciali per l’approvvigionamento energetico, nonostante il significativo avanzamento delle fonti green e, in particolare, del fotovoltaico.
Occorre dunque «uno sforzo politico-economico senza precedenti», per usare le parole pronunciate di recente da Birol, se si vuole modificare il sistema energetico mondiale. Le rinnovabili, insomma, da sole non bastano. Per perseguire gli obiettivi climatici di lungo periodo, l’Agenzia assegna perciò un ruolo rilevante al dispiegamento su larga scala delle tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio, che nel 2040 dovrebbero assorbire fino a 2 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Non solo. Per la Iea occorre poi rilanciare con forza politiche efficaci sul fronte dell’efficienza energetica. In particolare, nello scenario Sds, il tasso di riduzione dell’intensità energetica Pil deve passare dall’1,7% del 2017 al 2,7% del 2030 e al 3,4% al 2040, il che significa il 50% in più rispetto a quanto delineato dalle politiche messe in pista finora. In questo modo, fa osservare il rapporto, i consumi energetici globali rimarrebbero ai livelli attuali, pari a circa 14 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, diversamente dallo scenario Nps in cui il fabbisogno mondiale aumenterebbe del 25%, soprattutto per via delle economie asiatiche, Cina e India su tutti. Non più tardi del 2000, l’Europa e il Nord America contavano per oltre il 40% della domanda energetica globale e le economie in via di sviluppo dell’Asia per circa il 20%. Al 2040, però, la situazione si invertirà completamente.
Perché, spiega il World Energy Outlook 2018, il profondo spostamento dei consumi energetici verso l’Asia riguarda tutte le tecnologie e le fonti, come gli investimenti del settore. L’Asia da sola pesa infatti la metà della crescita della domanda di gas, il 60% di quella di eolico e solare fotovoltaico, oltre l’80% di quella di petrolio e oltre il 100% dell’aumento dei consumi di carbone e nucleare (mentre altrove, invece, la domanda è destinata a decrescere). Dati che confermano il ruolo cruciale nel futuro dell’energia, non solo di quella “green”.
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