L’amore per la terra ha radici lontane per Riccardo Illy. Il nonno Francesco, nato nel 1894 in Ungheria, dopo aver fondato la Illy Caffè nel 1933 si dedicò anche a un’azienda agricola con alberi da frutta. Voleva produrre confetture, ma poi l’Istria passò alla Jugoslavia e il governo nazionalizzò tutte le proprietà degli stranieri. L’azienda agricola, quindi, andò persa. Il nonno, apolide dal 1918 al 1947 quando divenne italiano, morì che Riccardo aveva solo un anno. La passione per il vino, invece, è un’eredità del papà, che era appassionato dei vini freschi, fruttati. Così come la passione per il volo: il padre prese il brevetto da pilota e Riccardo Illy si sfida in deltaplano e parapendio. E ricorda che andava con i pattini a rotelle nell’angar quando il padre andava a volare e poi andavano a mangiare sui colli orientali del Friuli, dove ha assaggiato, negli anni 60, i primi vini bianchi di qualità. Allora la marca preferita del padre era Buzzinelli.
E i viticoltori sono sempre stati compagni di viaggio nelle avventure di Riccardo Illy, come quando era responsabile delle vendite nella ditta di famiglia e diede le macchine del caffè alle aziende viti-vinicole perché lo facessero provare ai loro clienti. In quel periodo l’imprenditore amava ascoltare Walter Filipputti, grande narratore della qualità dei vini. Poi nell’80 l’invito di Luigi Veronelli per un corso per non addetti ai lavori a casa sua, con 50mila bottiglie di vino in cantina. Il formatore era Giorgio Grai.
Chi contribuì a consolidare la passione per il vino e lo portò dai vini bianchi ai vini rossi,è stato il fratello Francesco, che lo portò a Montalcino. Francesco Illy era stato ospite nel castello di Sandro Chia e gli era stato segnalato un pastore che aveva 50 ettari di terreno confinante con Mastroianni. Ne comprò i diritti per le vigne e diventò amico del direttore di Mastroianni. Con il tempo, poi, la passione si è trasformata in attività imprenditoriale. A oggi l’attività viti-vinicola fattura poco più 2 milioni di euro ma sono stati fatti importanti investimenti portandola da 24 a 40 ettari.
«Il vino che mi ha lasciato un ricordo indelebile, pinot bianco di Mario Sciappetta. Lo assaggiai la prima volta in una trattoria alle cavie di Trieste vicino all’università con i tagliolini al tartufo». La vendemmia, invece, Riccardo Illy l’ha fatta in poche occasioni e non è mai riuscito a farla in Mastroianni. Ma una delle sensazioni più piacevoli è legata alle passeggiate nelle vigne domenica mattina a Montalcino, come nell’autunno scorso quando è andato ad assaggiare la qualità dell’uva degli ultimi 7 ettari da vendemmiare e ha visto un capriolo fra le viti e le tracce di qualche cinghiale. «Ho assaggiato la prima vendemmia di un’altra scommessa di Andrea Machetti, direttore di Mastroianni, che ha piantato un ettaro e mezzo di ciliegiolo. Era un vitigno che era abbandonato e il primo assaggio del “quasi” vino fa ben promettere per struttura e impronta aromatica».
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