Economia

Stefanel al bivio, da mito anni Ottanta al concordato

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l’industria e la crisi

Stefanel al bivio, da mito anni Ottanta al concordato

C’è tempo fino ad aprile per una soluzione della crisi Stefanel, storico marchio del tessile trevigiano. Il conteggio parte dalla metà di dicembre, quando l’azienda ha chiesto di essere ammessa al concordato preventivo, concesso dal Tribunale per 120 giorni: una mossa legata alla necessità di proteggere l’azienda e il suo patrimonio, e di preparare una proposta per i creditori, mandando contemporaneamente avanti una trasformazione industriale già avviata ma che richiede una accelerazione.

Nell’ultima assemblea della Spa, il 15 gennaio scorso, si era «preso atto della situazione patrimoniale della Società al 30 settembre 2018, dalla quale emerge una perdita complessiva di euro 20,9 milioni e un patrimonio netto di euro 7,5» e, come proposto dal Consiglio di Amministrazione, si era deliberato di «rinviare ogni decisione in merito alla situazione patrimoniale della Società all’esito del processo di riorganizzazione aziendale in corso».

Le difficoltà durano già da qualche anno: nel settembre 2017 nel capitale sono entrati i due fondi Oxy Capital (già attivo nel salvataggio della veronese Ferroli e di Olio Dante) e Attestor, mentre la famiglia, rappresentata da Giuseppe Stefanel (figlio del fondatore Carlo) è rimasta con una quota del 16,4% e con l’esperienza necessaria a collaborare nel gestire questa fase.

Perché la crisi è continuata rimettendo in discussione il piano elaborato dopo l’ingresso dei fondi, che con le banche avevano dato nuovo fiato (e finanza) alla Stefanel? L’azienda trevigiana si muove in un contesto generale che vede in calo gli acquisti di abbigliamento, a scapito di altre forme ritenute più gratificanti (a cominciare dal cibo). E poi c'è il fattore e-commerce, con una erosione sempre maggiore del volume di affari realizzato dai negozi che nel caso di Stefanel sono – per la metà di proprietà, altri in franchising – di grandi dimensioni, su strade molto trafficate e con costi elevati.

Anche da qui parte la svolta in atto, che fa del digitale un punto di forza. Già dalla collezione autunno inverno 2019 si vedrà un cambiamento, che significa una base di prodotti continuativi e otto consegne all’anno di mini collezioni capaci di cogliere i trend del momento per colori e stile. Con due vantaggi immediati: una maggiore freschezza nell’immagine per il cliente e un miglioramento nella gestione delle scorte dei prodotti base.

Un secondo caposaldo della nuova Stefanel sarà un design più moderno, capace di accontentare la clientela femminile che, secondo una indagine, risulta equamente distribuita nelle fasce di età 30-45, 45-55 e 55-65 anni, con una vestibilità e una corrispondenza alle taglie più accurata, e un rapporto qualità prezzo superiore.

Anche i negozi – oggi sono 400 nel mondo - cambieranno: spazi più piccoli, un modello integrato secondo il quale si potrà provare, ordinare online, ritirare ed eventualmente rendere in ogni punto vendita. Ci potranno essere temporary shop e anche negozi itineranti, che si spostano sul territorio ad esempio quando c'è da presentare una nuova collezione.

Tutti progetti che ora devono seguire una fase di confronto con i sindacati, che tengono alta l’attenzione sull’occupazione e anche sulla sede principale dell’azienda a Ponte di Piave (tutti impiegati). Attualmente la cassa integrazione a rotazione è stata chiesta per 244 addetti, ma non c'è – ed è oggetto della trattativa – un numero definito di esuberi: si sa che gli aspetti giuslavoristici e di gestione delle risorse umane sono stati affidati allo Studio Arlati Ghislandi e LabLaw consulenti del nuovo piano industriale di Stefanel, e che per il ridisegno della collezione, a partire dall'autunno inverno 2019, è stata chiamata la società Brave New World.

Parte della gestione sarà prevedibilmente spostata a Milano quando gli accordi saranno stati raggiunti, ma il nuovo consigliere delegato Stefano Visalli (già managing partner di Oxy Capital) non ha mai messo in discussione le radici venete dell’azienda così come la specializzazione nella maglieria.

Nei prossimi giorni ci saranno nuovi incontri all'Unità di crisi aziendali della Regione Veneto (il primo è si è tenuto l’8 gennaio scorso), che dal 2012 a oggi ha gestito 197 vertenze.

Un ulteriore appuntamento è stato in programma a Roma con le organizzazioni sindacali: «Si tratta di un passaggio legato alla procedura per la richiesta degli ammortizzatori sociali – spiega Cristina Furlan, segretaria generale Filctem Cgil. Siamo anche riusciti a ottenere un incontro al Mise il prossimo primo di febbraio, e qui l’azienda dovrà dare conto del perché ci si trovi in questa situazione e di come intenda procedere per il rilancio. Fra i lavoratori c’è rabbia, perché fino ad ora non c'è stata chiarezza e ancora non sappiamo nemmeno quanti lavoratori siano interessati da trasferimenti e ricollocazioni. E c’è delusione, perché dopo una serie di ristrutturazioni e licenziamenti si pensava che il peggio fosse alle spalle». Dal sindacato anche la richiesta di avviare percorsi di formazione per i dipendenti e di attivare i fondi per l'assegno di ricollocazione.

La crisi Stefanel potrebbe però anche avere un risvolto inaspettato: dalla necessità di avere collezioni più frequenti, più reattive rispetto alla domanda, potrebbe nascere un rientro delle produzioni che negli anni avevano lasciato il Veneto per trasferisti per lo più a Est. Una seconda chance per quella rete di terzisti e piccoli laboratori in gran parte falcidiati dalle delocalizzazioni, ma che in qualche modo hanno reagito preservando competenze e know how. Quasi un ciclo che si chiude, con un ritorno alle origini dalle quali erano nate le grandi famiglie del tessile in Veneto.

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