Sulla scia delle numerose fusioni e joint venture che si osservano da tempo nel comparto fieristico a livello internazionale, vari operatori della filiera hanno di recente avviato operazioni di collaborazione anche in Italia. Nei Paesi occidentali il settore è entrato nella fase di maturità e le opportunità di recupero di efficienza e di sviluppo del business risiedono in buona parte nelle soluzioni di concentrazione. Così, a livello internazionale si osservano varie iniziative: dalle più “leggere”, ad esempio di co-localizzazione di manifestazioni, di joint venture per nuovi eventi nei Paesi extra Ue, fino alle fusioni e acquisizioni “pesanti”, che si estendono a intere organizzazioni. Queste iniziative sono ancora molto poche in Italia dove, invece, la frammentazione di attività e organismi sta determinando carenza di risorse e competenze qualificate, difficoltà a supportare strategie di sviluppo estero, e inutili competizioni sui mercati nazionali e internazionali.
D’altra parte, a fronte di una logica economico-aziendale, si pone spesso il problema degli interessi specifici dei territori. Molti quartieri e relative manifestazioni sono stati costituiti con l’obiettivo di dare beneficio soprattutto all’ambito locale, vuoi attraverso la visibilità offerta alle produzioni regionali (ad esempio alcune aree un tempo sconosciute sono oggi associate a prodotti come il vino, l’alimentare, il design ecc. grazie alle loro fiere) vuoi attraverso l’indotto economico-turistico generato dalla presenza di migliaia di espositori e visitatori sul territorio (l’indotto spesso raggiunge valori pari a 10-15 volte il fatturato del quartiere). Ogni concentrazione può perciò apparire come una minaccia rispetto a questi obiettivi. In più vi è il problema della perdita di autonomia, che tocca ad esempio i numerosissimi piccoli organizzatori indipendenti (spesso associazioni di produttori), per lo più focalizzati sulla produzione di eventi di successo, ma non più di uno-due annuali.
Il passaggio da queste logiche individuali e di breve gittata a logiche di più ampia visione non è facile, ma può essere graduale, e non necessariamente deve basarsi solo su fusioni e acquisizioni, di certo le più difficili da realizzare. Di interesse sono ad esempio le iniziative di co-abitazione di alcuni organizzatori (vedi quelli che fanno parte di Confindustria Moda, riuniti in un’unica sede) che hanno consentito di avviare confronti sui modi di lavorare e progetti fieristici comuni. Anche le iniziative governative di supporto all’internazionalizzazione delle imprese sono di recente concepite in modo da favorire la collaborazione tra attori fieristici. Ma è davvero ancora molto poco rispetto alle dimensioni e alle iniziative dei competitor dell’industria fieristica a livello internazionale. In Italia purtroppo mancano addirittura informazioni strutturate sulle iniziative fieristiche nel nostro Paese e all’estero cui possano accedere le imprese e i buyer. O meglio, le informazioni esistono, ma probabilmente è necessario visitare qualche decina di siti, tra Regioni, istituti per il commercio estero, associazioni fieristiche, istituti di certificazione ecc. per avere qualche idea (parziale). Come possiamo in questa situazione sperare in uno sviluppo della collaborazione? Come possiamo pensare che lo strumento fieristico possa ricevere la giusta considerazione? Come possono raggiungerci gli espositori e i visitatori esteri in cerca di adeguati eventi per le loro attività?
Un’indicazione per un passo avanti su questo fronte potrebbe venire dal confronto con l’industria fieristica tedesca, che da molti anni ha una “casa comune” (virtuale), in cui riunisce tutta la filiera del settore e le rispettive associazioni, nello sforzo generale di dare coordinamento, visibilità internazionale e promozione a tutti gli attori e le iniziative del sistema. Il sito di Auma (https://www.auma.de/en) è rappresentativo di questa primaria attività di “educazione alla collaborazione”. In esso si possono trovare – a uso degli espositori e dei visitatori - i calendari e i dati certificati di utenza di tutte le fiere della Germania; i calendari e le formule delle iniziative supportate da contributi governativi; indicazioni per migliorare l’efficienza degli espositori; ricerche e analisi sul sistema fieristico; informazioni su tutti i quartieri e gli organizzatori, e così via. Il sito presenta inoltre i risultati di molte attività che sono il frutto di collaborazioni tra operatori fieristici, come analisi sui comportamenti dei visitatori per settore, analisi delle opportunità del digitale, e così via.
Un’iniziativa del genere per l’Italia non sembrerebbe richiedere un grande investimento, ma di certo migliorerebbe l’immagine del settore fieristico italiano presso gli utenti internazionali; costituirebbe inoltre un luogo di confronto e per tentare iniziative comuni. Migliorerebbe anche l’immagine dell’Italia che, attraverso questo grande bene comune che sono le fiere, offre i primi contatti con la ricchezza e la varietà di un sistema manifatturiero e territoriale tra i migliori del mondo.
L’autrice è Direttrice dell’Osservatorio fiere
e ordinario di Management
dell’Università Bocconi di Milano
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