Fra Gela e Butera, nell’agro di Roccazzelle fra le contrade Cappellania, Sant’Antonio e Tenuta Bruca, ecco la centrale solare
del futuro. Del futuro anteriore. Meglio ancora: la centrale solare di Gela sembra piuttosto un periodo ipotetico dell’irrealtà. Cioè non esiste. Là dove da anni dovrebbe sorgere l’impianto
con gli specchi che concentrano la luce del sole e la trasformano in calore oggi c’è un seminativo incolto. Il progetto era stato proposto dalla Reflex, un’azienda veneta che produce specchi tecnologici, in passato alleata con la
società elettrica grigionese Repower.
Tutti a parole vogliono l’energia rinnovabile e pulita, a patto però che si faccia a casa d’altri.
E quindi a Gela — sì, proprio nella stessa Gela in cui lavorano trivelle e pozzi di petrolio, nella Gela dove c’è la raffineria in dismissione, nella Gela dalla cui costa si vede nitida sul Canale di Sicilia la piattaforma petrolifera Prezioso, in quella Gela sovrastata dalla superantenna militare Muos che tanto agita i comitati del no — a Gela la centrale solare non parte perché «con tutti questi incentivi chissà dove andremo a finire», e quindi il decreto incentivi non parte e quindi l’investimento non riesce ad avere la valutazione economica e finanziaria.
Nel settore operano più di 25 aziende, tra le quali la più nota è l’Enel. Molte di queste aderiscono all’associazione di settore Anest. Le imprese del settore hanno investito in questi anni in Italia oltre 300 milioni di euro fra pubblico e privato
Otto anni di nulla sotto vuoto
Dal punto di vista dell’insolazione, Roccazzelle di Gela parrebbe baciato dai raggi solari migliori: è alla latitudine 37° 04’ 25” Nord, cioè condivide lo stesso parallelo con Ghar el-Mehl, governatorato di Biserta, Tunisia, e con el-Marsa, provincia di Skikda, Algeria.
Già nel 2011, ai tempi ormai remotissimi del Governo Berlusconi, fu avviato il primo studio di impatto ambientale con un progetto dell’archistar Italo Rota. Progetto splendido, in progetto
bastavano appena 2 anni per realizzarlo.
Ma la burocrazia latitava.
Di nulla in nulla, si arrivò al 18 febbraio 2013, gli anni lontani del Governo Monti, quando la società Reflex presentò all’ingegnere capo del Genio Civile della provincia di Caltanissetta, La Mendola arch.
Salvatore, la richiesta di autorizzazione di posare le linee di alta tensione «a servizio di una centrale solare termodinamica
a concentrazione da 12 mw».
Ancora niente.
Dal 2013 sono scivolati nel passato i Governi Letta, Renzi e Gentiloni e ora c’è il Governo Conte, per il progetto di Gela sono passati 8 anni di niente sotto vuoto e sono stati firmati e controfirmati alcuni ettometri
di carta protocollata e di sentenze del Tar, ma sul terreno incolto non è stato piantato nemmeno un paletto da vigna.
I numeri del progetto a Gela
Potenza prevista e produzione di energia elettrica 12,5 megawatt elettrici, ottenuti coprendo di specchi 350mila metri quadri
su un’area complessiva di 500mila metri quadri.
L’investimento previsto è 88 milioni di euro, dei quali opere civili, strutture e impianti sviluppati e spesi nella zona sono
44 milioni.
Nei 2 anni di lavoro previsti verrebbero creati 150 posti di lavoro diretti e indiretti l’anno di cui
● 100 diretti,
● 20 nell’indotto per il montaggio della centrale
● una 30ina di posti di lavoro l’anno nelle attività di carpenteria.
Posti fissi creati dalla centrale per la sua operatività: operai 20, impiegati 3.
La Sardegna che funziona a carbone
Come la Sicilia, così anche la Regione Sardegna — cambiamo isola — ha detto che a Gonnos Fanàdiga non si dovrà costruire una centrale di specchi perché danneggerà le pecore
del famoso pecorino (il cui latte senza valore viene rovesciato per protesta sull’asfalto) e perché renderà meno biologiche
le colture biologiche. Una nota a margine: la Regione Sardegna che ha detto no alla centrale a specchi di Gonnos Fanàdiga
ha appena detto sì alle centrali a carbone attraverso un ricorso al Tar contro un decreto del Governo che le fa spegnere.
Una tecnologia innovativa e costosa
Entrambi i progetti, quello di Gela e quello in Sardegna, non si basano sui soliti pannelli solari fotovoltaici, quelli
con il silicio che, colpito dalla luce, emette un flusso di corrente elettrica. Si basano invece su un principio della fisica
più semplice, cioè specchi che, concentrando il calore del sole in un sol punto, ottengono un calore tale da poter far bollire l’acqua per far girare
con il vapore una turbina. (Ovviamente il principio è semplice da descrivere ma la sua applicazione è assai più complessa).
La prima volta, nel 212 avanti Cristo, la tecnologia era stata tentata dallo scienziato siciliano Archimede, uno dei geni più luminosi nella storia della scienza.
La città di Siracusa era assediata dai romani del console Marcello, e le navi romane stringevano il blocco navale dalla parte del porto. Dalle
mura di Ortigia, Archimede fece disporre specchi che concentrassero sulle navi il calore del sole, fino a incendiarle.
(Siracusa dovette capitolare e Archimede fu ucciso durante il sacco della città).
In tempo moderni, sono diverse le centrali solari che usano questa tecnologia termodinamica a concentrazione, ma una tipologia particolare è stata messa a punto dal fisico Carlo Rubbia e dall’Enea.
Si tratta di tecnologie nuove e molto costose, che hanno bisogno di incentivi finché non sono abbastanza mature da poter reggere la prova del mercato.
L’incentivo che non c’è
Mancano gli incentivi, attesi promessi e annunciati da anni. Protesta l’Anest, l’associazione delle imprese del solare termodinamico: «Nonostante i proclami del Governo sulla scelta di andare verso le
energie rinnovabili, il Decreto del ministero dello Sviluppo economico che dovrebbe disciplinare l'incentivazione delle tecnologie
innovative – il cosiddetto Fer2 – non è stato ancora stato preparato. A questo punto una filiera tutta italiana sta per chiudere
con grave perdita di know how e di posti di lavoro».
In questo blocco totale, la situazione per l'intera filiera nazionale del CSP è a dir poco drammatica:
• i progetti autorizzati dopo due anni e mezzo di silenzio amministrativo e istituzionale hanno le autorizzazioni scadute
o in scadenza e nessuno si preoccupa che tale ritardo non sia dovuto agli operatori ma è dipendente da altri uffici amministrativi.
Il risultato è che le autorizzazioni non sono o non saranno più valide;
• gli operatori sono riusciti a trovare soggetti disponibili a finanziare i progetti. Ma i finanziatori dopo mesi di nulla
sono stanchi di aspettare e stanno rivolgendo le loro attenzioni ad altri Paesi dove è più facile e più sicuro investire;
• le aziende italiane che faticosamente hanno creduto in questa tecnologia e su cui hanno investito milioni di euro in ricerca
e tecnologia, hanno chiuso o stanno per chiudere.
Secondo l’associazione, «il Governo continua a sostenere che l’Italia deve andare verso una sistema energetico decarbonizzato,
basato sulle rinnovabili.
Peccato che il decreto di incentivazione delle tecnologie rinnovabili innovative (quelle che, proprio perché innovative, hanno
necessità di incentivi, come il solare termodinamico Csp) non è ancora stato preso in considerazione dal ministero dello
Sviluppo economico. E questo sta portando a non poter più realizzare impianti già autorizzati, alla chiusura delle aziende
italiane della filiera del solare termodinamico, alla perdita di un know how unico e tutto italiano, alla perdita di posti
di lavoro e di competenze esclusive».
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