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Cioccolato, fallisce anche Peyrano Addio a un altro marchio storico

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Cioccolato, fallisce anche Peyrano Addio a un altro marchio storico

  • – di Micaela Cappellini

A Torino, tra la prima pasticceria Venchi, in via degli Artisti, e la pasticceria Peyrano di Corso Moncalieri, ci sono meno di cinque chilometri. Entrambe hanno una storia centenaria, nell’immaginario collettivo dei torinesi tutte e due sono sinonimo di cioccolato di eccellenza. Ma la prima ha appena festeggiato 140 di storia con 100 milioni di euro di fatturato. Mentre per Peyrano è stato definitivamente sancito il fallimento da parte del Tribunale di Torino.

Dopo Pernigotti, i cui 50 dipendenti sono in cassa integrazione da questa settimana, con Peyrano cade dunque un altro marchio storico del cioccolato piemontese. Tanto che alla direzione regionale della Flai - il sindacato di categoria del comparto agroindustria che fa capo alla Cgil - qualcuno ha cominciato a chiedersi se non siamo di fronte a una vera e propria “questione alimentare” in Piemonte. E una prima indagine di settore è stata già lanciata.

Il fallimento di Peyrano riguarda solo una decina di dipendenti: «Sette erano a casa da tempo, con sette mesi di stipendio arretrato - racconta Letizia Capparelli, della Flai di Torino, che segue il caso - gli altri tre stanno tenendo ancora aperta la pasticceria di Corso Moncalieri. L’udienza del Tribunale è fissata per l’11 di giugno, il nostro obiettivo è di poter recuperare i crediti e il Tfr dei lavoratori». Di speranze che qualcuno rilevi lo storico marchio d’eccellenza torinese, che negli anni Venti si vantava di confezionare i cioccolatini per di re, invece non ce ne sono molte. La travagliata storia finanziaria della famiglia Peyrano risale a una ventina d’anni fa e ha già visto un primo fallimento. Con debiti che si dice abbiano raggiunto quota 5 milioni di euro, difficile trovare un compratore.

Stessa città, storie diverse. A Torino il cioccolato d’eccellenza è anche sinonimo di grandi crescite aziendali. Nel 1878 Venchi ha cominciato un po’ come Peyrano, con un laboratorio artigianale di alta pasticceria. Ma di investitore in investitore, che si sono aggiunti alla famiglia originaria, la fabbrica è cresciuta. E nei primi anni Duemila ha fatto il grande salto: con le gelaterie e con il boom dei punti vendita. Oggi ne ha più di 100, di negozi monomarca, di cui 47 in Italia e il resto tra New York e Singapore, da Pechino a Londra. Il piccolo atelier del 1878 oggi è una realtà talmente strutturata da aver supporter del calibro di Unicredit, che ha appena sottoscritto un minibond da 7 milioni, e Sace-Simest, che ne finanziano l’espansione in Asia.

Nel segmento cioccolato d’eccellenza, a Torino c’è anche Guido Gobino, che ha preso in mano le redini del laboratorio di famiglia soltanto negli anni 80 ma oggi è uno dei nomi più noti, e non solo in città. «Pensi che quando ero ragazzino - racconta - dicevo che volevo diventare come i Peyrano, perché loro erano i migliori, in fatto di qualità». Su quella Guido Gobino ha lavorato sodo, ma se è riuscito a trasformare il suo laboratorio in un’impresa da 50 dipendenti, è stato anche grazie alla decisione di guardare all’estero. «Ho cominciato dalla Svizzera - spiega - perché lì sono dei veri intenditori, e ho pensato che se sfondavo in Svizzera allora voleva dire che il mio cioccolato poteva andare ovunque». Oggi Gobino ha tre punti vendita dentro Torino, uno all’aeroporto di Caselle, uno a Milano, e distribuisce in 24 Paesi, dall’Arabia Saudita all’Australia. «Il Giappone è un mercato che mi da grandi soddisfazioni - racconta - vendiamo soprattutto a San Valentino. Ma la mia più grande soddisfazione è vedere entrare i turisti giapponesi nella nostra bottega di Milano. Hanno la piantina in mano, ci vengono a cercare apposta. È in quei momenti che capisco che all’estero sto lavorando bene».

Il tema del flagship store è anche al centro della strategia di Domori, altro marchio noto della cioccolateria torinese d’eccellenza nato nel 1993. Oggi produce a None, alle porte della città, ed è di proprietà del gruppo Illy dal 2006: «Quando è entrata nel gruppo, Domori fatturava solo 1,5 milioni di euro, mentre l’anno scorso abbiamo superato i 18,3», racconta il suo amministratore delegato, Andrea Macchione. Domori ha un corner dentro il Centro commerciale di Arese, ma «entro il primo semestre di quest’anno apriremo la prima gelateria monomarca a Milano, mentre spero che entro la fine del 2019 saremo pronti con il primo flagship store vero e proprio, che sarà a Torino». Secondo Macchione per mantenere il successo, oltre che sui punti vendita monomarca, è necessario puntare sulla tecnologia e sulla qualità: «Noi abbiamo scommesso tutto sulla materia prima, il cacao extra-fine Criollo. Delle 40 tonnellate stoccate a livello mondiale, 26 sono tutte nel nostro magazzino».

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