La migrazione dall’Italia non è più una parola che evoca solo immagini di persone, giovani e meno giovani che, con la valigia di cartone, lasciano il Belpaese in cerca di fortuna. All’aeroporto si presentano nuclei familiari di professionisti magari con un set di valige firmato Louis Vuitton. A valutare nuove opportunità in giro per l’Europa sono sempre più spesso, oltre ai famosi “cervelli in fuga”, anche manager che vogliono proseguire la carriera all’estero. Per godere, insomma ,della maggiore flessibilità, della minore burocrazia, dei migliori servizi e soprattutto beneficiare di un Fisco più favorevole rispetto a quello italiano che colpisce in particolare i lavoratori dipendenti.
I dati dall’Anagrafe degli italiani residenti all’estero dimostrano che dal 2006 al 2018 la mobilità italiana è aumentata del 64,7% passando da 3,1 milioni di iscritti all’Anagrafe (Aire) a più di 5,1 milioni. Aumenta anche l’età anagrafica: crescono del 20,7% le partenze di chi ha tra i 50 e i 64 anni, del 35,3%quelle di chi ha tra i 65 e i 74 anni e del 78,6% quelle dagli 85 anni in su. In questi casi si parla di “emigrati previdenziali” che si vanno a godere la pensione esentasse in Portogallo, a Cipro o negli Emirati Arabi, come dimostrato dai dati Inps.
Ma le condizioni di favore applicate valgono anche per lavoratori dipendenti e talvolta anche per i possessori di grandi capitali. «La concorrenza fiscale tra Stati è un fenomeno che acquista rilevanza dal momento che molti Paesi europei hanno introdotto regimi fiscali di favore per attrarre capitale finanziario, ma anche per intercettare lavoratori, in particolare quelli che presentano qualifiche di alta specializzazione e alta remunerazione», spiegano Federico Balbiano e Luca Valdameri, esperti dello studio Pirola Pennuto Zei & Associati. Il linea generale, i regimi fiscali cosiddetti “attrattivi” sono circoscritti a soggetti che si qualificano come “nuovi residenti” dopo un certo numero di anni trascorsi in un altro Stato. Tali soggetti possono godere alternativamente, a seconda dello schema attrattivo previsto, di una riduzione delle aliquote (arrivando fino all’esenzione), di uno sconto della base imponibile su cui applicare le aliquote o di una vera e propria flat tax.
Tra i precursori di questo trend c’è l’Olanda che, secondo una mappa riscostruita per Il Sole 24 Ore dallo studio di consulenza legale e tributaria, con il «Ruling 30%» consente a chi prende residenza lì di beneficiare di una esenzione da imposte fino a un massimo del 30% del reddito da lavoro attuale (senza limiti massimi) per otto anni. Un trattamento di favore concesso a patto che il lavoratore sia «in possesso dei requisiti di alta specializzazione» e che il reddito da lavoro sia tassato in Olanda. In questo Paese, tra l’altro ,il dipendente “immigrato”, su richiesta, può essere considerato un «contribuente non residente» per determinate tipologie di reddito, facendo riferimento al cosiddetto «status di non residente parziale» e può beneficiare così dell’esenzione da imposta sui redditi di natura finanziaria (non derivanti da imprese residenti).
Porte aperte a professionisti specializzati anche in Belgio con le «Special expatriate tax concessions» grazie alla quale i soggetti beneficiari sono equiparati a soggetti non residenti pertanto tassati solo per i redditi di fonte belga. Brexit a parte, anche il Regno Unito conserva il suo fascino per chi desidera tasse light grazie al «regime «non Dom».
Anche in Francia le sirene del fisco cantano con il «Régime des Impatriés» che vale al massimo per otto anni ed è riservato ai lavoratori non residenti in Francia nei precedenti cinque anni. È prevista l’esenzione sui compensi relativi al trasferimento (per esempio premio di espatrio, benefit casa e tax equalization) fino ad un massimo del 30% e l’esenzione totale, fino ad un massimo del 20%, sui redditi di lavoro relativi ai giorni di lavoro passati all’estero. Inoltre i cugini d’Oltralpe concedono a chi non è stato residente negli ultimi cinque anni anche l’esenzione del 50% di imposta sui redditi di natura finanziaria derivanti da investimenti derivanti da investimenti fuori dalla Francia.
In Spagna vige l’accattivante «Legge Beckham», sfruttata dal famoso centocampista che giocò anche nel Real Madrid, ma che ora non è più applicabile ai calciatori. Essa prevede, per chi non sia stato residente nel Paese negli ultimi 10 anni, la tassazione agevolata per un periodo di sei anni per i lavoratori che si trasferiscono in Spagna con aliquota “flat” del 24% sul reddito di lavoro dipendente fino ad un limite di 600mila euro. Agli stessi è concessa anche l’esenzione sui redditi di fonte estera (come i capital gain). La regola vale però purché si ottenga un contratto di lavoro spagnolo o un distacco in Spagna.
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