C’è chi pensa che sia finita da 50 anni l’era del carbone e dell’acciaio e che stia per finire anche quella del petrolio e della plastica, per aprirsi l’era del silicio (energia) e del silicio (per produrre e consumare). Eppure a dar retta al nuovo Outlook della Bp — l’accreditata analisi previsiva con cui ogni anno la compagnia petrolifera cerca di intuire il futuro — le ferite del carbone non sono mortali, il petrolio è ancora in sella e l’auto elettrica è sì in arrivo ma la transizione ha una gradualità nel tempo. Cresceranno i biocarburanti come il biodiesel, il biopetrolio e il biometano, meno inquinanti dei carburanti tradizionali. L’Italia sembra propensa ad accoglierli ma, come spesso accade, mentre vengono decisi incentivi (come quelli varati nel marzo 2018) nel mezzo si frappongono regole tecniche o carenze normative o comitati locali contrari agli impianti.
Previsioni a 20 anni
Ma che cosa pronostica per il 2040 la Bp nel nuovo Outlook? Gli analisti prevedono che tra 20 anni ronzeranno sulle strade
del mondo 350 milioni di veicoli elettrici, dei quali 300 milioni saranno automobili. Un numero enorme e al tempo stesso limitato,
appena il 15% di tutte le auto. Infatti il settore dei trasporti continuerà a essere dominato dai combustibili petroliferi,
a dispetto del ruolo sempre maggiore di elettricità e gas. In uno scenario di transizione evolutiva senza strappi e accelerazioni,
il peso di benzina e gasolio nel segmento dei trasporti scenderà dal 94% attuale all’85% del 2040, a vantaggio del metano,
dell’elettricità e dei biocarburanti. Insieme, queste fonti di alimentazione soddisferanno più della metà della crescita del
fabbisogno di energia nei trasporti, coprendo il 5% della domanda nel 2040. In particolare, il ricorso ai biocarburanti crescerà
fino a 2 milioni di barili di petrolio al giorno soprattutto nei trasporti stradali e, in misura contenuta, nell’aviazione.
I vincoli delle norme
Tutti ecologisti e “alternativi” a parole, ma nei fatti l’economia circolare e l’uso del biometano agricolo sono bloccati
in una spirale di burocrazia e di quelle stesse leggi che (in teoria) vorrebbero promuoverli. È il caso del biometano, segmento
nel quale circa 1.200 aziende hanno investito negli ultimi dieci anni oltre 4,5 miliardi di euro, dando vita in Italia a uno
dei laboratori di economia circolare più importanti in Europa e nel mondo.
Come ha osservato Piero Gattoni, presidente del Cib (Consorzio italiano biogas) «l’attuale Governo è sensibile ai nostri valori ma, purtroppo, dobbiamo segnalare l’esistenza di cortocircuiti burocratici che continuano a bloccare lo sviluppo del nostro settore, imponendo, ad esempio, delle restrizioni assurde sul fronte dell’alimentazione dei biodigestori e impedendo, di fatto, le riconversioni degli impianti esistenti dalla produzione di biogas per la produzione elettrica a quella di biometano per i trasporti». Se ne parlerà a Biogas Italy, a Milano, dal 28 febbraio al primo marzo, organizzato dal Cib.
Lavori in corso
Eppure, qualcosa si muove. A Marghera e a Gela (si veda Il Sole 24 Ore del 22 febbraio) stanno partendo grandi impianti per
il biodiesel, le cui materie prime potranno essere non solo l’olio di palma (certificato, per evitare che venga da colture
che hanno incentivato deforestazioni) ma soprattutto gli scarti delle lavorazioni dei grassi, come le sanse delle lavorazioni
degli oli o l’esito delle fritture nei fast food. Giuseppe Ricci, capo raffinazione e marketing dell’Eni, e lo scienziato
Ennio Fano, presidente del Renoils (consorzio nazionale degli oli e dei grassi vegetali e animali usati), hanno appena sottoscritto
un accordo di collaborazione per il recupero degli oli vegetali. Per produrre biodiesel l’Eni recupera circa il 50% di tutti
gli oli alimentari usati disponibili in Italia. Ora, con le aziende di rigenerazione aderenti al consorzio, amplierà la possibilità
di impiegare questi rifiuti per produrre biocarburante di qualità nelle due bioraffinerie. Gela potrà arrivare a produrre
700mila tonnellate l’anno di biodiesel; sempre in quell’area, è appena partito l’impianto pilota che estrae biopetrolio da
700 chili al giorno di rifiuti organici. Materiale, questo, usato anche a Sant’Agata Bolognese dal Gruppo Hera per la produzione
di biometano, con un investimento da 37 milioni (il primo di una multiutility in Italia). Saranno 100, invece, i milioni investiti
entro il 2022 da Snam nella realizzazione di infrastrutture per il biometano. Un piano completo, quello di Snam (da 850 milioni
complessivi), che passa anche da un accordo con Coldiretti, Bonifiche Ferraresi, A2A e Gse per dar vita alla prima filiera
di biometano agricolo e dalle acquisizioni di Ies Biogas ed Enersi Sicilia (titolare di un’autorizzazione per un impianto
Forsu a Caltanissetta). Snam ha già allacciato alla sua rete sei impianti, mentre un’altra trentina è in fase di connessione
e ci sono già oltre 140 richieste di produttori. Intanto, venerdì scorso è stato fatto il primo pieno di biometano puro in
Italia, a Rapolano Terme (Siena), da un distributore a marchio IP realizzato da Snam4Mobility. In attesa dell’era delle auto
elettriche, la mobilità sostenibile (cui è dedicato il Rapporto odierno del Sole 24 Ore) passa anche dai biocarburanti.
© Riproduzione riservata