Orsenigo - Lo stereotipo del finissimo cioccolato svizzero che per anni ha fatto mostra di sé anche nelle insegne della grande distribuzione italiana, con quell’immancabile bandierina rossa crociata, scricchiola proprio a una manciata di chilometri dalla Svizzera. Tra lo swiss range e il belgian range, da sempre considerati i due punti di riferimento internazionali per il cioccolato, si fa largo l’italian range della Icam di Orsenigo, in provincia di Como. Piccolo gioiello incastonato tra le prealpi lombarde, corteggiato da paesi svizzeri disposti ad accoglierne la nuova sede, fondi d’investimento, grandi multinazionali e, non ultimo, anche da Borsa italiana che, nel 2018, la ha inserita nel percorso Elite.
Il potenziale della società lo raccontano i numeri: negli ultimi 10 anni il fatturato di Icam è pressoché raddoppiato, passando dagli 85 milioni di euro del 2009, quando l’azienda aveva sede nel cuore di Lecco, ai 156 del 2018 con la sede trasferita ad Orsenigo. Crescono i ricavi, ma anche la redditività: l’ultimo dato relativo all’Ebitda è di 23,4 milioni, pari al 15,3% sui ricavi netti, mentre l’Ebit è a 17 milioni pari all’11,1% sui ricavi netti.
Il cioccolato qui si fa dalla A alla Z perché, ci raccontano Angelo Agostoni, presidente del gruppo, figlio del fondatore Silvio Agostoni e di Carolina Vanini, e il nipote Giovanni, direttore commerciale, «abbiamo la cosiddetta filiera integrata». Dalla piantagione alla tavolette e alle praline che, forse, pochi non hanno mai assaggiato. Dietro ogni tavoletta private label della grande distribuzione, della distribuzione cooperativa e del commercio equo e solidale, c’è questa fabbrica di cioccolato. Premesso che ormai il 60% della produzione di Icam ha la certificazione biologica e fairtrade e che l’olio di palma è utilizzato solo in due creme spalmabili per professionisti, le 3000 voci di prodotto, comprese quelle Kosher e Halal, sono destinate a tre canali, spiega Giovanni: «La linea Vanini, il marchio premium nato 5 anni fa con il cognome della nonna Carolina, che rappresenta il 16% del fatturato, il canale industrial destinato all’industria alimentare, ai pasticceri e ai cioccolatieri che rappresenta il 44% e infine il canale private label che rappresenta il 40%».
Nella storia di questa fabbrica di cioccolato si intrecciano migliaia di certificazioni. «Non c’è giorno in cui non dobbiamo affrontare un audit, ormai i nostri collaboratori sono preparati», dice Giovanni. Ma soprattutto c’è un’attenzione molto forte al mercato. «Nella nostra evoluzione abbiamo sempre cercato di interpretare le esigenze che il mercato esprime», aggiunge Angelo. Esigenze che sono molteplici. «Più in generale siamo attrezzati per far fronte alla complessità con linee di produzione pensate per evitare la cross contamination», precisa Giovanni
Icam ha una capacità produttiva di 35mila tonnellate di cioccolato all’anno, 140 al giorno e conta sul lavoro dei suoi 300 dipendenti (oltre a 100 interinali nei picchi produttivi) e sulla collaborazione di 30 nipoti della famiglia fondatrice. Difficile, però, vederli nell’impianto dove l’automazione delle linee è pressoché totale. Al lavoro 6 giorni su 7, con turni che coprono le 24 ore, gli operai Icam hanno un ruolo sempre più “alto”, sulle piattaforme dove si trovano le sale di controllo, e “pulito”, come mostrano le loro divise bianche. I segni della parabola crescente raccontata dai numeri si vedono dentro lo stabilimento dove il cioccolato scorre in oltre 50 chilometri di tubi che partono dai macchinari 4.0 che trasformano le fave in pasta, burro e polvere di cacao. E poi in tavolette e praline. A Orsenigo la fabbrica è in continuo fermento.
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Dopo il grande investimento iniziale di oltre 60 milioni di euro per la nuova sede, c’è stato uno sviluppo continuo. Prendendo soltanto gli ultimi anni, nel 2015 sono stati investiti 1,5 milioni, nel 2016 2, nel 2017 7,8, nel 2018 4 e nel piano 2019-2021, approvato dal cda, sono stati deliberati investimenti per 7,5 milioni nel 2019, 6 milioni nel 2020 e 3 milioni nel 2021. Se nell’area di confezionamento si scorge l’allestimento di una nuova linea, uscendo dalla produzione ci si trova di fronte al Chococube che sarà presentato giovedì con la masterclass del maitre chocolatier per eccellenza, Ernst Knam. «In questa struttura che si trova simbolicamente nel mezzo della fabbrica passeranno i grandi interpreti dell’arte del cioccolato per trasferire, in corsi e seminari ad hoc, il loro sapere ai professionisti della pasticceria e della cioccolateria», racconta Giovanni.
Lo sguardo al futuro della Icam arriva da una storia sapientemente costruita da una numerosa famiglia che da un ramo del lago di Como ha portato i suoi prodotti in giro per il mondo. Con il 60% di esportazioni in 65 paesi, dove «il 10% è rappresentato dal Regno Unito e una pari quota dalla Francia, il 6% dalla Germania e l’8% dagli Stati Uniti», dice Giovanni. Ma soprattutto con il percorso sapientemente costruito con le cooperative di coltivatori di cacao in Repubblica Dominicana, Perù e Uganda (si veda altro pezzo in pagina). Intanto una linea sforna tavolette di cioccolato con le nocciole per una grande catena cooperativa, mentre poco più in là, su un’altra ne scorre una varietà al cocco per un marchio francese del mercato equo e solidale.
Ci spostiamo ancora ed ecco una linea bio, per la più grande catena italiana della grande distribuzione. Le linee del cioccolato sembrano infinite ma quelle che la Icam percorre rispettano sempre «un certo livello etico», dice Angelo,facendo riferimento anche a un trend molto forte che si sta affermando sul mercato, dove i consumatori, soprattutto in Italia sono sempre più attenti alla certificazione Fair trade. Oltre a un certo standard di qualità, «determinato da 40 assaggiatori professionisti che ogni anno perfezionano le loro competenze all’istituto francese del Cirad (Cooperation internationale en recherche agronomique pour le developpement) e danno il via libera ai prodotti. All’unanimità», ci tiene a sottolineare Angelo Agostoni. Già perché se il prodotto non raggiunge il via libera all’unanimità non può uscire dalla fabbrica italiana di cioccolato che fa l’occhiolino al finissimo cioccolato svizzero.
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