L’esempio virtuoso è sotto gli occhi di tutti: il vino. È questo l’unico prodotto agroalimentare della Toscana che è riuscito a compattare e far crescere l’intera filiera, dai viticoltori ai trasformatori ai distributori, valorizzando la qualità e costruendo un brand d’eccellenza che ha pochi eguali nel mondo (e numeri di tutto rispetto: più di 950 milioni di export nel 2018).
Ma – vino a parte - c’è un mondo agricolo toscano fatto di piccoli produttori che soffrono: dai cereali all’olio, dal latte al pomodoro da industria, mancano filiere “forti” in grado di remunerare coltivatori e allevatori e di spingere sul mercato i prodotti di qualità.
«Siamo a metà del guado», dice il presidente di Confagricoltura Toscana, Francesco Miari Fulcis. «Esattamente a metà del guado», gli fa eco il presidente toscano di Coldiretti, Fabrizio Filippi. Entrambi si riferiscono ai tentativi di valorizzazione avviati dalla Regione attraverso i bandi Pif, che finanziano i progetti integrati di filiera cui partecipano più operatori dello stesso settore. Progetti che, a sentire gli agricoltori, non hanno centrato in pieno l’obiettivo di rafforzare e far evolvere le filiere.
Tanto che ora serve un passo in avanti: «Bisogna assolutamente cambiare prospettiva – spiega Miari Fulcis – cominciando a guardare ai prodotti agroalimentari toscani come prodotti ”fashion”, che devono far rete con la moda, col turismo, con la gastronomia, cioè con le altre eccellenze del territorio. Solo così potremo vincere sul mercato». Sulla stessa lunghezza d’onda Filippi: «Dobbiamo costruire filiere tracciate e garantite e allearci con la ristorazione, con l’agriturismo ma anche con l’artigianato e la manifattura di qualità. Il nostro vantaggio competitivo è dato dal fatto che la Toscana è un brand forte e che la gente qui viene volentieri: se impariamo a vendere la vera Toscana ci guadagniamo tutti». Integrare, contaminare, collaborare dovranno essere le nuove strade di sviluppo per suscitare suggestioni ed emozioni.
Esempi da imitare ce ne sono: da quelli grandiosi, come la cantina del gruppo Antinori nel Chianti Classico che è un motore turistico-gastronomico-vinicolo-culturale del territorio, a quelli di nicchia, come il marchio dell’olio extravergine “Laudemio” frutto di un rigoroso disciplinare che consente al produttore di vendere all’estero una bottiglia da mezzo litro al prezzo di 18 euro; fino al ristorante Tosca&Nino che all’interno del grande magazzino Rinascente a Firenze mette in tavola le delizie di 200 piccoli produttori locali.
Gli ingredienti per realizzare la svolta dunque ci sono tutti, la ricetta pure. «Abbiamo aziende leader sia agricole che agroindustriali – conclude il presidente di Confagricoltura Toscana -, ora dobbiamo fare rete nel vero senso della parola con la moda e con gli altri comparti. Questo deve essere l’obiettivo della Toscana, non certo quello di produrre per sfamare».
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