Economia

Dossier Una nuova geografia industriale

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    Dossier | N. 8 articoli Toscana, sfide per lo sviluppo

    Una nuova geografia industriale

    Il risveglio dopo la Grande Crisi ha portato più d’una sorpresa alla Toscana manifatturiera, quella che – a dispetto dell’immagine consolidata legata a paesaggio, turismo, cibo e vino – rappresenta ancora il traino dell’economia regionale (l’industria pesa il 17% del Pil).

    La sorpresa è soprattutto nei settori che, nel decennio 2009-2018 che abbraccia una delle crisi industriali più difficili del Dopoguerra, hanno continuato a correre moltiplicando fatturati e posti di lavoro. Chi è cresciuto di più? Innanzitutto la farmaceutica, poi la pelletteria e il cartario.

    I dati sull’export, elaborati dall’Irpet (Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana) per Il Sole 24 Ore, mostrano una classifica rivoluzionata rispetto a dieci anni fa: nel 2009 il primo settore d’esportazione era la meccanica, seguita dal tessile-abbigliamento e dall’oreficeria. Oggi lo scettro è stato conquistato dalle borse, protagoniste di una cavalcata senza soste: l’export 2018 della pelletteria toscana, che ha il cuore nel distretto di Firenze, supera i tre miliardi di euro; l’intera filiera della pelle, con la concia e le scarpe, vale sei miliardi di esportazioni. E non sembra scalfita dai cambiamenti in atto nel modello produttivo, finora basato sulla rete di laboratori-terzisti che realizza borse per grandi marchi come Gucci, Prada, Ferragamo, Fendi, Chanel, Dior, Cartier. Ora questi brand tendono a riportare all’interno parte della produzione, ma per costruire fabbriche proprie non si allontanano dal distretto di Firenze dove si concentrano competenze e ricerca d’eccellenza.

    Se la pelletteria ha conquistato il primato, il record di crescita spetta però all’industria del farmaco, che negli ultimi dieci anni in Toscana è più che triplicata, passando da 805 milioni di export 2009 a quasi 2,7 miliardi stimati nel 2018, anno d’oro per il settore (+35%). Una performance che nessuno aveva previsto, e che si inserisce nella scia nazionale, con l’Italia diventata primo produttore europeo di farmaci (31,2 miliardi di fatturato 2017 di cui 25 all’export) davanti alla Germania.

    Il dinamismo della farmaceutica toscana è confermato dai progetti avviati dalle aziende grandi e piccole. La fiorentina Menarini, gigante da 3,6 miliardi di ricavi della famiglia Aleotti, ha appena acquistato l’ex area Longinotti a Sesto Fiorentino (100mila mq di cui 50mila edificabili) da destinare all’espansione, e sta investendo nel centro ricerche Vaxynethic di Rapolano Terme (Siena) per sviluppare nuove tecnologie per la produzione di vaccini; l’americana Eli Lilly sta aspettando un complicato risiko immobiliare pubblico per ampliare la produzione di insulina nel campus di Sesto Fiorentino investendo 100 milioni di euro; Kedrion della famiglia lucchese Marcucci, specializzata nei farmaci plasmaderivati, investe 37 milioni in un preparato di immunoglobuline negli stabilimenti di Gallicano e Barga, in Garfagnana; la fiorentina Molteni, leader nella terapia del dolore e nelle dipendenze, ha varato l’ampliamento della fabbrica di Scandicci in chiave 4.0 con 50 milioni di investimenti; e Pharmanutra, piccola azienda pisana di complementi nutrizionali, investe 10 milioni in uno stabilimento per produrre principi attivi.

    Accanto alla pelletteria e alla farmaceutica, ha fatto passi da gigante il cartario di Lucca (1,2 miliardi di export 2018), distretto formato sia da produttori di bobine e carta (igienica e per uso domestico, il cosiddetto tissue, ma anche cartone per imballaggi), sia da produttori di tecnologie, che negli ultimi anni si sono affermati a livello mondiale.

    Tra le industrie piccole e promettenti della Toscana, che stanno crescendo a doppia e tripla cifra, ci sono infine la cosmetica, i generatori elettrici e gli impianti di cablaggio. Dieci anni dopo l’avvio della Grande Crisi, la geografia industriale della regione ha bisogno di essere riscritta.

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