Economia

Dossier Una tecno-rivoluzione con l’uomo al centro

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    Dossier | N. 4 articoli Le nuove competenze dell’impresa 4.0

    Una tecno-rivoluzione con l’uomo al centro

    In questi anni, ci si è a lungo interrogati sull’impatto della rivoluzione tecnologica, digitale e industriale in atto nell’era del 4.0. Ma c’è un’altra rivoluzione ancora poco dibattuta, quasi invisibile, di cui stiamo solo iniziando a percepire gli effetti: quella sociale. Perché oggi il nuovo paradigma 4.0 consente di superare storiche asimmetrie di genere, avvicina i giovani al mondo della fabbrica, abilita nuove politiche di diversity nelle imprese. Introduce un nuovo approccio culturale della produzione in grado di produrre nel medio termine un impatto sociale di cui non siamo ancora pienamente in grado di comprendere la portata. Ma che potrebbe ribaltare alcuni modelli con effetti potenzialmente dirompenti.

    È una conseguenza della realtà che stiamo sperimentando. Le applicazioni 4.0 si stanno rivelando molto più “human-centric” del previsto. A dispetto delle previsioni più fosche che presagivano semplicemente la sostituzione del lavoro coi robot, stiamo osservando come nei progetti che introducono le tecnologie 4.0 in azienda - l’Internet of Things, l’Intelligenza Artificiale, i Big Data e il Cloud Computing - l’essere umano sia sempre al centro delle attività di pianificazione, gestione e analisi dei dati. La quarta rivoluzione industriale vede le macchine sostituire le attività più muscolari o ripetitive, spesso proprio quelle più alienanti, ma nobilita l’intelligenza: aumenta la potenza del cervello, consente di prendere più decisioni in minor tempo e assegna un nuovo ruolo alle persone che devono guidare questi processi.

    E così, da un manifatturiero appannaggio quasi esclusivo del genere maschile e della forza fisica, si può passare a una nuova realtà produttiva basata sull’intelligenza e che rappresenta una grande opportunità per le donne, che nell’impresa 4.0 possono essere protagoniste di attività cognitive ad alto valore aggiunto, allo stesso modo degli uomini. Una svolta per la gender diversity, ma non solo: le tecnologie digitali possono mitigare molte delle differenze nella forza lavoro e costruire una nuova equità sociale. Dall’esoscheletro che permette di superare i limiti del proprio corpo, ai sistemi di interconnessione tra uomo e macchina, gli esempi sono potenzialmente moltissimi: il cosiddetto “human-centric manufacturing” apre del tutto le porte della fabbrica anche a chi ha limitate capacità fisiche o persino disabilità, supera problemi di lingua e di cultura, crea nuove opportunità di lavoro cognitivo. Con un solo requisito fondamentale: le competenze. Insieme alla tecnologia, infatti, ciò che rende possibile questa rivoluzione è la formazione. Che a sua volta ha un effetto secondario, non trascurabile, a livello sociale: lo sviluppo di competenze digitali fornisce ai lavoratori strumenti utili anche per la vita di cittadini nel mondo di domani, che sarà necessariamente digitale.

    C’è poi un altro aspetto da non sottovalutare del mondo 4.0: questo paradigma sta avvicinando i giovani alla fabbrica. Lo sta facendo lentamente, ma in modo più efficace di migliaia di progetti di comunicazione e open day sviluppati in tanti anni. L’impresa tecnologica, digitale, innovativa presenta una nuova attrattività agli occhi dei ragazzi, che si affianca a quella (correlata) di una produzione green, pulita e sostenibile. Oggi, grazie a PC, joystick e visori per la realtà virtuale, la fabbrica è più simile a un videogame che alla classica catena di montaggio. Una grande opportunità per modificare la percezione di un settore come “vecchio” e lontano dal proprio mondo, che ha spinto molti giovani a non iscriversi a percorsi di studi tecnici e prodotto il grave skill mismatch attuale, di cui il Paese paga pesanti conseguenze. Su questo, c’è ancora molta strada da percorrere per invertire la tendenza (e considero un grave errore il ridemensionamento dell’alternanza scuola-lavoro, occasione per far toccare con mano il mondo dell’impresa), ma i giovani stanno iniziando a capire che “manufacturing è sexy”. L’inizio quindi di una rivoluzione culturale, che presto potrebbe avere importanti conseguenze di carattere sociale.

    (*) L’autore è docente del Politecnico di Milano, School of Management - Manufacturing Group

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