La cronaca innanzitutto. A Milano la Procura ha chiesto il giudizio immediato per 13 indagati per il traffico di circa 37mila metri cubi di rifiuti stoccati in vari capannoni e poi bruciati. La Forestale di Ancona ha scoperto ad Agugliano un deposito di materiali raccolti dai cittadini attenti ma poi non riciclati, 11mila tonnellate di «rifiuti pericolosi vetrosi di apparecchiature elettriche e elettroniche» come schermi e tv; associazione per delinquere, traffico illecito di rifiuti, falso in atto pubblico. Ogni giorno si scoprono in tutt’Italia capannoni imbottiti di rifiuti ma soprattutto riempiti a tappo di materiali da riciclare che non vengono riciclati. Carta, plastica, vetro non riescono ad andare in cartiera, nelle vetrerie, negli impianti di riutilizzo delle materie plastiche. Perché? Semplice: leggi fumose e pochi impianti.
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Fabbisogno 10 miliardi
Secondo operatori del settore, per dotare l’Italia di un numero di impianti commisurato agli obiettivi europei di riciclo
servirebbero investimenti dei 10 miliardi di euro. Servirebbe un ventina di impianti per le principali filiere del riciclo
(carta, plastica, metalli, legno, vetro e così via), 22 impianti per produrre biometano, 24 termovalorizzatori. Senza impianti
i costi crescono, le aziende dell’ambiente si fermano, gli investimenti sfumano, i progetti svaporano e l’economia circolare
resta una locuzione per politici assetati di consensi elettorali.
Costi impazziti
Gli effetti ricadono sulle imprese e sui consumatori. Qualche numero. Le imprese aderenti alla Confindustria rilevano che
in Lombardia nel 2018 i costi di smaltimento dei rifiuti erano raddoppiati rispetto al 2014, arrivando a una media di 165
euro la tonnellata. Nel Veneto quattro imprese su cinque hanno sofferto un aumento dei costi di smaltimento e, tra queste,
per più di un’impresa su quattro il rincaro è stato superiore al 25%. Nel Lazio i costi per trattare i rifiuti del settore
farmaceutico sono più che raddoppiati (da 410-470 fino a 980 euro la tonnellata) mentre i contratti di gestione dei rifiuti
si sono abbreviati da 2-3 anni a pochi mesi.
La grave criticità deriva da più fattori. In parte mancano gli impianti, in parte da un anno si sono chiusi i mercati esteri
come la Cina e la Germania che per anni avevano assorbito i materiali da rigenerare, in parte è difficoltà a raggiungere un’accettabilità
a livello sociale. Quelli che dicono «questo impianto devasterà il nostro territorio» stanno facendo un favore alla malavita
dei rifiuti e un danno all’ambiente.
Come dice Claudio Andrea Gemme, presidente del gruppo tecnico industria e ambiente della Confindustria, «l’economia circolare
non si fa a parole ma con gli impianti, sia di recupero di materia che di energia, come i termovalorizzatori». Non a caso
l’associazione confindustriale Cisambiente, che raccoglie le imprese del settore, ha promosso un ciclo di incontri sull’economia
circolare.
I numeri
I consumatori pensano alla spazzatura di casa, ma la rigenerazione dei rifiuti è fatta soprattutto dalle imprese. In Italia
(dati Ispra relativi al 2017) le attività economiche producono 135 milioni di tonnellate di rifiuti, il 65% delle quali viene
riciclato (92 milioni di tonnellate). Contando le varie forme di riutilizzo, in discarica arriva appena il 9% dei rifiuti
delle attività imprenditoriali. Invece i cittadini producono oltre 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, di cui viene
riciclato il 47% (15 milioni di tonnellate) e finisce in discarica il 23% dell’immondizia. Le direttive europee ci impongono
al massimo il 10% entro il 2035: obiettivo già raggiunto in anticipo dal mondo delle imprese, ancora lontano per i cittadini.
Per raggiungere gli obiettivi europei l’Italia «non ha alternative al dotarsi di un sistema impiantistico adeguato al proprio
fabbisogno», afferma Chicco Testa, presidente della Fise Assoambiente, che presenterà nei prossimi giorni la ricerca «Per
una strategia nazionale dei rifiuti».
Come combustibile
I dati Eurostat dicono che dal 2004 al 2016 nei principali 9 Paesi europei l’impiego del recupero energetico per la gestione
dei rifiuti urbani è passato dal 30 al 39%, registrando anche un aumento della quota destinata al riciclo, contro la diminuzione
della discarica pari al 14%. Aggiungono gli studi condotti da Utilitalia (le imprese dei servizi pubblici locali) che l’Italia
nel 2017 ha usato come combustibile il 18% del totale dei rifiuti urbani prodotti. Risulta invece residuale l’incenerimento
dei rifiuti speciali (non di origine urbana) che interessa solo lo 0,9% della quantità dei rifiuti prodotti nell’anno 2016,
cui si aggiunge l’1,5% di rifiuti recuperati come fonte di energia.
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