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La frenata dell’abbigliamento. Un’azienda su tre pronta alla…

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La frenata dell’abbigliamento. Un’azienda su tre pronta alla Cig

Sembrava superata, dribblata, sconfitta dagli ultimi tre anni di mercato in ripresa. E invece la cassa integrazione torna con prepotenza a turbare i sonni dell’industria italiana della moda, spargendo un alone di incertezza sulle aziende di filati, tessuti e - a sorpresa - anche su quelle di abiti: il 29% delle imprese-campione appena intervistate da Confindustria Moda (un’ottantina operanti in tutta la filiera tessile-moda) per la periodica indagine sulla congiuntura ha dichiarato che farà ricorso alla Cig nel breve-medio periodo. In pratica quasi una su tre, più di 13mila aziende sull’universo di 45.800.

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Il dato va a braccetto con quello sull’occupazione: nel primo trimestre dell’anno il segno è rimasto negativo (-0,4%), dopo la lieve contrazione registrata nel 2018 (che fa scendere gli occupati nel tessile-abbigliamento sotto quota 400mila). La congiuntura del primo trimestre mette dunque un’ipoteca pesante sull'anno in corso, peggiorando le stime fatte poche settimane fa (si veda Il Sole 24 Ore dell’11 aprile): il fatturato nei primi tre mesi è calato lievemente nell’industria tessile (-0,7%) ed è dimagrito in modo più deciso nel segmento a “valle” (-4%), quello dell’abbigliamento solitamente più performante. Colpa soprattutto del mercato interno (-6,6% con un andamento particolarmente negativo dell'abbigliamento a -8,1%), mentre l’estero per adesso regge (+0,9%) anche se si prepara a virare: la raccolta ordini del primo trimestre dell’anno è in flessione (-3,9%) penalizzata anche dagli ordini esteri (-3,1%).

Il cambio di scenario è netto. La rincorsa della moda - settore che negli ultimi cinque è cresciuto (+2,1% il fatturato 2018 a 55,2 miliardi di euro, per il 57% all'export) nonostante la contrazione di aziende (2mila in meno dal 2014) e addetti (6mila in meno) - sembra dunque interrotta. Gran parte delle aziende (61% del campione Confindustria Moda) prevede nei prossimi mesi un proseguimento delle condizioni di mercato poco favorevoli; il 26% teme un ulteriore peggioramento; solo il 12% confida in un miglioramento, anche se Confindustria Moda sottolinea la “schizofrenia” che caratterizza sempre più la domanda e le dinamiche «estremamente diversificate» delle singole aziende, pure all’interno degli stessi segmenti (e sottolinea anche che il campione analizzato non comprende alcune significative griffe del lusso). «Siamo preoccupati - ha spiegato Claudio Marenzi, presidente di Confindustria Moda, presentando il salone Pitti Uomo che si terrà a Firenze dall’11 al 14 giugno - anche se i mercati extraUe, Russia a parte, vanno bene, lo stallo dei mercati interno e europeo mette in crisi tutte le aziende che non sono già ben posizionate fuori dall’Europa e che non possono contare sulla forza del marchio.».

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L’andamento dei mercati, unito alla riorganizzazione del sistema distribuivo e all’avvento delle vendite online, rischia di avere un impatto importante sul prossimo Pitti Uomo, il salone-lifestyle di Firenze diventato il più importante al mondo per la moda uomo (1.220 marchi per il 45% esteri): «Ci aspettiamo una diminuzione dei compratori - ha messo le mani avanti Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine - in particolare da Francia, Russia e Spagna. E speriamo che i fondi Ice alle fiere e all’internazionalizzazione contenuti nel decreto Crescita vengano sbloccati presto». E Marenzi evoca anche la mancanza di reciprocità nelle regole doganali, che rende particolarmente difficile l’export in Asia da parte delle aziende che non sono ben strutturate. Il timore bussa alla porta: se dovesse fermarsi l’export, vero traino degli ultimi anni (+2,8% nel 2018), per il tessile-abbigliamento sarebbero guai.

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