«Non esiste ancora un modo conosciuto per eliminare la Xylella fastidiosa da una pianta malata in reali condizioni di campo».
E per questo l’intera Europa può essere considerata a rischio.
È quanto emerge dai due pareri dell’Efsa (l’Autorità europea della sicurezza alimentare) redatti sull’epidemia che ha devastato
l’olivicoltura pugliese (si calcolano 4 milioni di alberi coinvolti, circa 50mila ettari di uliveti e un impatto sulla produzione
di olio d’oliva della Puglia, prima regione produttrice in Italia, del 10% circa) e resi noti oggi.
Le simulazioni effettuate al computer dai ricercatori Efsa hanno evidenziato che le aree maggiormente a rischio sono quelle
nell’Europa meridionale con in primis l’Italia e che la variante della Xylella fastidiosa multiplex è quella che risulta avere
le maggiori probabilità di stabilirsi nel nord Europa rispetto alle altre sottospecie.
La lotta alla xylella, sottolineano gli esperti Efsa nei documenti con cui aggiornano le conoscenze scientifiche ferme ai rapporti redatti dalla stessa Autorità nel 2015, è complicata dal ritardo con cui si manifestano i sintomi. In assenza di cure il controllo degli insetti vettori e la corretta e tempestiva applicazione delle misure di emergenza attualmente in vigore a livello Ue (taglio delle piante infette e di quelle suscettibili di infezione nel raggio di 100 metri) risultano quindi decisive. Purtroppo si tratta proprio delle misure raccomandate da Bruxelles fin dal 2015 e che tra ricorsi amministrativi e altre indagini giudiziarie in Puglia sono state adottate con grande ritardo al punto da spingere, lo scorso anno, la Commissione Ue ad aprire una procedure d’infrazione nei confronti dell’Italia.
Tra queste una delle più contestate è stata la prevista eradicazione di tutte le piante poste in un raggio di 100 metri da
un olivo infetto. Una misura che secondo l’Efsa potrebbe essere adottata anche con un raggio inferiore ai 100 metri (e quindi
in misura meno invasiva) ma solo in presenza «di una diagnosi precoce della malattia, di un controllo degli insetti vettori
efficiente per adulti e larve e della rimozione immediata delle piante. Al contrario – si legge ancora nei pareri dell’Efsa
- se il vettore è scarsamente controllato anche nel caso del raggio di taglio attuale, l’eradicazione rischia di rivelarsi
inutile e fallire».
Inoltre secondo gli esperti dell’Authority Ue, ridurre le zone tampone, quelle cioè che separano l’area infetta dall’area indenne, aumenta drasticamente la probabilità di espansione dell’epidemia.
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Ma il batterio della Xylella fastidiosa non ha colpito in questi anni solo l’Italia. Risulta infatti capace di infettare oltre 500 specie vegetali in tutto il mondo con 100 milioni di dollari l’anno di danni calcolati solo sui vigneti californiani. È stato individuato per la prima volta in Europa nel 2013 in Salento, in Puglia, quale responsabile della sindrome di disseccamento rapido degli ulivi ma successivamente (nel 2015) è stato individuato anche in Francia, in Corsica e nella regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra; nel 2016 è stata la volta delle Baleari, con infezione di ulivi, viti e mandorli, e di una serra in Germania mentre nel 2017 è toccato alla Spagna quando è stato individuato sui mandorli della provincia di Alicante.
All’inizio del 2019 inoltre sono stati segnalati due nuovi focolai in Europa, uno in Toscana sul Monte Argentario e l’altro
nel distretto di Porto in Portogallo su piante ornamentali e spontanee. In tutte le aree focolaio sono in atto le misure di
prevenzione raccomandate da Bruxelles.
«Questa è stata una sfida scientifica complessa e con molte aree di incertezza – ha commentato il presidente del gruppo di
lavoro Efsa che ha studiato il fenomeno, Stephen Parnell - ma abbiamo individuato alcune conclusioni che aiuteranno i gestori
del rischio, la valutazione del rischio stesso e i ricercatori. Le nuove informazioni rese disponibili dopo il nostro ultimo
parere pubblicato nel 2015 hanno consentito di fare importanti passi avanti nella comprensione del parassita tuttavia permane
molta incertezza in particolare a livello di sottospecie e di tipo di sequenza. È fondamentale continuare a investire in ricerca
in modo che gli studi possano aiutarci non solo a controllare le epidemie, ma a prevenirle».
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