La flebile crescita economica italiana, che perdura da molti anni, si può attribuire a cause diverse dalle quali discendono rimedi diversi. Non c’è dubbio, tuttavia, che il regresso del Mezzogiorno in termini relativi e in alcune fasi anche assoluti, sia una parte centrale del problema dello sviluppo italiano. E, seppur i servizi e il turismo possano senz’altro contribuire al progresso economico del Meridione, quest’ultimo non può non passare anche da un rafforzamento della manifattura del Sud e da una sua migliore partecipazione al sistema degli scambi internazionali.
Il sostegno all’internazionalizzazione è un elemento chiave per rilanciare la competitività delle imprese del Mezzogiorno a fronte della zavorra di una domanda interna debole. Nel contesto meridionale, il miglioramento delle infrastrutture materiali e immateriali e delle condizioni per l’accesso delle imprese ai mercati esteri (oltre che del Nord Italia) non possono che procedere di pari passo: ciascun elemento da solo non garantisce un futuro per le produzioni del Sud.
Guardando alla programmazione 2021-2027
L’occasione del negoziato sul bilancio comunitario 2021-2027, che presto entrerà nel vivo, è decisiva per ridefinire le priorità di una politica industriale per il Mezzogiorno. Le imprese italiane, così come quelle europee, dopo anni di delocalizzazione dell’attività produttiva verso le economie emergenti alla ricerca di costi del lavoro più bassi, tendono a ridefinire i loro processi, privilegiando spesso siti produttivi dove competenze e vicinanza alle filiere industriali fanno premio sul mero costo del lavoro, anche tornando all’interno dei confini nazionali (reshoring).
Le ragioni sottostanti tale fenomeno sono legate all’aumento del costo del lavoro nei Paesi emergenti, all’incertezza sui costi produttivi generata dalle fluttuazioni valutarie, e alla maggiore efficienza della supply chain quando la produzione è localizzata in prossimità dei centri di ricerca e sviluppo dell’impresa. In alcuni settori, inoltre, le imprese riportano la produzione in patria anche per limitare la perdita di proprietà intellettuale. Ma il reshoring da alcuni Paesi emergenti nulla toglie alla necessità per le imprese manifatturiere di interagire con altre sulle piattaforme produttive europee o globali, le cosiddette global value chain (Cgv), o catene globali del valore.
In un paper pubblicato dal Laboratorio Luiss sul Mezzogiorno abbiamo identificato con Cecilia Jona Lasinio alcune condizioni che favoriscono la partecipazione delle imprese alle Cgv e la loro competitività internazionale, con particolare riferimento alle regioni meridionali. Le imprese manifatturiere italiane partecipano alle Cgv prevalentemente come imprese intermedie, ossia come imprese fornitrici che vendono a imprese estere prodotti semilavorati). Le caratteristiche della struttura produttiva italiana, contraddistinta da molte imprese di piccole dimensioni che non hanno la forza di proporsi sul mercato finale internazionale, spiega gran parte di questo dato. Nonostante gli indicatori mostrino un grado di partecipazione alle Cgv dell’Italia non troppo distante da quello della Germania, le imprese italiane partecipano alle Cgv con modalità meno avanzate che non in altri Paesi europei avanzati. Scomponendo l’aggregato Italia, le imprese meridionali partecipano in misura limitata alle Cgv e con collocazioni ancor meno qualificate nei processi produttivi globali, spesso in segmenti a basso valore aggiunto.
Nel nostro lavoro sottoponiamo a verifica tre ipotesi di ricerca.
1. I settori industriali che partecipano maggiormente alle catene globali del valore, e che sono localizzati in regioni con elevata capacità di esportare in mercati a domanda mondiale dinamica, sperimentano tassi di crescita della produttività del lavoro più elevati.
2. I settori dove le imprese hanno registrato un’accelerazione nel tasso di accumulazione del capitale immateriale beneficiano d’incrementi di produttività relativamente più elevati nelle regioni ad alta intensità d’investimento pubblico in Ricerca e sviluppo (R&S).
3. I settori industriali maggiormente coinvolti nelle Cgv hanno maggiori guadagni di produttività se collocati in regioni ad alta intensità d’investimento pubblico in R&S.
Alcuni suggerimenti di politica industriale per il Sud
I risultati empirici confermano queste ipotesi per le attività produttive localizzate nelle Regioni italiane, e forniscono alcuni suggerimenti che una politica industriale per il Mezzogiorno potrebbe considerare. Per favorire aumenti di produttività del lavoro e competitività, va promossa una strategia d’integrazione tra le politiche a sostegno dell’innovazione, intesa come stimolo a investire in attività immateriali ad alta intensità di conoscenza, e quelle perl’internazionalizzazione attraverso il supporto alla partecipazione alle global value chain. Nel negoziato sulle priorità del prossimo bilancio pluriennale dell’Unione europea, l’interesse italiano è di spingere per un piano Ue di sviluppo e convergenza nel quale identificare gli interventi mirati al rilancio di investimenti pubblici congiunti sia per infrastrutture sia per innovazione. La partecipazione crescente dei Paesi avanzati alle catene globali del valore determina una nuova geografia della produzione che richiede l’identificazione di nuove politiche per la crescita e l’internazionalizzazione.
La strategia di Industria 4.0 è stata quella di identificare misure per il rilancio degli investimenti innovativi, in particolare quelli in ricerca e sviluppo (R&S), conoscenza e nuova imprenditorialità innovativa con l’obiettivo di stimolare le imprese a dotarsi delle capacità necessarie per competere sul mercato globale.
Industria 4.0 plus
Per il Mezzogiorno questo non basta: occorre una “Industria 4.0-plus”, che riconosca come nel Meridione non basta finanziare l’impresa digitale, ma occorre preparare le rotte e i timonieri per avvicinare le imprese ai centri del business globale, ed edificare nuovi luoghi dove sviluppare competenze e innovazione.
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