È l’ultimo anello della catena che dal campo porta un prodotto alla tavola, ma gioca un ruolo di influencer fondamentale per orientare le scelte dei consumatori e del mercato. La distribuzione moderna e organizzata (Dmo) rappresenta il 61% delle vendite nei negozi italiani, con un fatturato di 135,3 miliardi, per l’80% realizzato nella grande distribuzione (Gdo) alimentare (dati Federdistribuzione). La sua forza contrattuale nei confronti dell’industria, unita alla capacità di cogliere e interpretare le esigenze dei consumatori, ne fanno un attore di primo piano nella partita della sostenibilità alimentare.
Per questo, probabilmente, le catene della Gdo si rivelano spesso più avanti degli stessi produttori: «Attraverso le linee a marchio proprio la Gdo sta sviluppando un’offerta sempre più ampia di prodotti sostenibili, in particolare nel settore food, in modo forse più rapido della stessa industria di marca – osserva Nicola De Carne, Retailer Client Business Partner di Nielsen –. La Gdo ha il vantaggio di lavorare con piccole e medie aziende fornitrici che sono più flessibili e dunque più reattive nel rispondere ai bisogni dei consumatori». Secondo una ricerca Nielsen, tra i fattori che impattano sull’acquisto, gli italiani citano il supporto dell’azienda a cause ambientali (70%), alla trasparenza e al commercio equo (69%), alle cause sociali (68%). Stringendo il campo all’alimentare, secondo The European House-Ambrosetti l’82,5% degli italiani ritiene importante che i prodotti riflettano le proprie convinzioni etiche, sociali e ambientali.
Certo, tra le intenzioni e le azioni concrete c’è di mezzo il portafogli e il fattore prezzo resta determinante. Ma è innegabile che «la sensibilità sociale è cresciuta moltissimo – conferma il presidente di Federdistribuzione Claudio Gradara –. Un prodotto, per essere competitivo, non può più essere soltanto conveniente, ma deve garantire anche caratteristiche di qualità, sicurezza, trasparenza e sostenibilità». Il fatto di essere a contatto diretto con i clienti ha costretto le imprese della Gdo a «correre un po’ di più dell’industria – osserva Gradara – e ad assumere un ruolo di sensibilizzazione verso consumatori e fornitori». La Gdo, attraverso i prodotti a marchio proprio (Mdd) può giocare un ruolo di «moral suasion» nei confronti delle aziende produttrici. Da qui lo sviluppo di “filiere di qualità” controllate e garantite sotto il profilo dei temi ritenuti prioritari dai clienti: ambiente, sicurezza alimentare, condizioni di lavoro, benessere degli animali.
In questo senso, un ruolo di importanza crescente rivestono le certificazioni: secondo l’Osservatorio Imagino di GS1 (che monitora oltre 100mila referenze dl Largo consumo confezionato), nel 2018 sono stati oltre 7mila i prodotti dotati di un claim che fa riferimento agli ambiti della certificazione Csr (ambiente, tutela degli animali, delle foreste, commercio equo...). Oggi tutte le aziende della distribuzione strutturate richiedono ai propri fornitori di certificarsi sotto uno o più di questi aspetti, spesso aiutando le piccole e piccolissime imprese a ottenere i riconoscimenti. «Ma dobbiamo farlo con cautela – osserva Gradara –: non possiamo mettere troppa pressione sui produttori né aspettarci un cambio radicale dall’oggi al domani». Per le aziende agroalimentari si tratta di investimenti onerosi che spesso – soprattutto le più piccole – non sono in grado di fare.
Proprio qui la Gdo può fare la differenza, fa notare Alfio Fontana, responsabile Csr di Carrefour Italia, che ha di recente avviato il progetto «Bee Api» con i produttori di agrumi della propria Filiera Qualità, che garantisce prodotti coltivati con metodi sostenibili, non dannosi per le api. «L’obiettivo è anche far crescere i piccoli fornitori assieme a noi – spiega – perché possano presentarsi sul mercato con un marchio di sostenibilità e affidabilità che difficilmente potrebbero ottenere da soli».
Anche Coop Italia, da anni, è impegnata con le aziende fornitrici della marca privata a garantire produzioni e coltivazioni sostenibili: l’ultima iniziativa prevede l’eliminazione dai prodotti dell’ortofrutta, entro tre anni, di quattro pesticidi (tra cui il glifosato) considerati dannosi per l’ambiente. Altra campagna è quella contro l’uso di antibiotici negli allevamenti di bovini e suini, di recente estesa a quelle di pesci. Sul benessere degli animali lavorano anche Conad ed Esselunga, mentre quasi tutte le insegne hanno accelerato sulla riduzione della plastica, eliminandola laddove possibile per sostituirla con materiali ecologici, oppure riducendola o ricorrendo a plastica riciclata e riciclabile. È il caso di Unes, che ha eliminato l’involucro dalle confezioni di acqua minerale a marchio, sostituendolo con due reggette. Sul tema delle plastiche monouso (che la Ue ha bandito dal 2021) le imprese di Federdistribuzione hanno deciso di attivarsi da subito, affiancando dal 1° luglio le stoviglie in plastica monouso con altri prodotti in materiale riciclabile e compostabile.
Sul tema plastica occorre tuttavia stare attenti a non fare facile demagogia, mette in guardia Giorgio Santambrogio, ad di VéGé, che il 19 giugno si prepara al lancio di un importante progetto su questo fronte. «A oggi non è stata ancora trovata un’alternativa economicamente sostenibile in grado non soltanto di sostituire le prestazioni della plastica, ma anche di coprire la domanda», osserva. C’è anche una questione di igiene e conservazione dei prodotti, aggiunge Lucio Fochesato, direttore generale di Despar Italia, che sta lavorando per l’utilizzo di packaging biocompostabile e biodegradabile. «La strada è questa, ma occorre fare attenzione – dice –: per alcuni prodotti, sostituire le confezioni in plastica con altri materiali potrebbe comprometterne la conservazione, con conseguente spreco di cibo».
Altra criticità è quella economica: «I risultati non vengono mai subito – spiega il presidente di Coop Italia Marco Pedroni –: tanti progetti hanno portato benefici a distanza di anni. Ma la sostenibilità è una delle frontiere del futuro e noi ce la giochiamo lì, convinti che su questa strada dovrà andare anche il mercato». E quando queste azioni diventeranno standard di mercato, i costi si abbasseranno.
Ovviamente si tratta anche di fare informazione verso i clienti, per aumentarne la consapevolezza e far accettare anche un prezzo leggermente superiore e su questo tutte le insegne si sono attivate da tempo con campagne educational. Una spinta ulteriore potrebbe arrivare dalla tecnologia blockchain, attualmente in Italia sperimentata da Carrefour e da Coop, che una volta messi a punto degli standard potrà fornire uno strumento in più di trasparenza e informazioni per guidare i consumatori nelle proprie scelte.
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