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    Dossier | N. 7 articoli Le sfide della sostenibilità

    Cambiamento climatico, perché mezzo grado in più fa tutta la differenza del mondo

    Una iniziativa di studenti universitari a Seul contro i cambiamenti climatici (Epa)
    Una iniziativa di studenti universitari a Seul contro i cambiamenti climatici (Epa)

    Mezzo grado non è niente, è una variazione di temperatura impercettibile per ciascuno di noi. Per gli abitanti delle isole del Pacifico invece è una questione di vita o di morte, la differenza tra respirare e finire sommersi dall’Oceano.

    È per questo che i governanti di questi micro-paradisi noti a noi occidentali solo per i viaggi “categoria lusso” sono in prima fila da anni nella lotta ai cambiamenti climatici. Sono loro che nel 2009 fecero fallire la Conferenza Onu di Copenaghen. E sono sempre loro che ancora oggi combattono con tutte le forze per impedire che il pianeta si surriscaldi di più di 2 gradi. «Ai grandi Paesi inquinatori – hanno dichiarato all’ultimo incontro del Pacific Island Forum – diciamo: il nostro oggi è il vostro domani».

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    Il limite da non superare
    La Conferenza Onu di Parigi del dicembre 2015 ha stabilito il duplice obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali (oggi siamo già a +1) e di mettere in campo azioni per limitare l'incremento a 1,5 gradi, come chiedono le Isole del Pacifico. «Quello dei 2 gradi è come un limite di velocità – spiega Frank Raes, climatologo che fino al 2015 ha guidato l’Unità sul rischio climatico del Servizio scientifico della Commissione europea - Un tetto da non avvicinare per evitare rischi sempre maggiori. È un buon esempio di compromesso tra conoscenze scientifiche e pragmatismo politico».

    Che cosa cambia con mezzo grado in più
    Perché mezzo grado fa tutta la differenza del mondo lo ha spiegato l’Ipcc (il Gruppo intergovernativo contro i cambiamenti climatici) in un rapporto dello scorso ottobre. Un aumento di 2 gradi invece che di 1,5 farebbe lievitare dal 14 al 37% la quota di popolazione mondiale esposta a ondate di caldo, renderebbe l’area del Mediterraneo molto più soggetta a periodi di siccità, farebbe praticamente scomparire la barriera corallina e aumenterebbe di 10 volte la probabilità di estati senza ghiaccio nel Mar Artico.

    Unione Europea all’avangardia...
    Governi, imprese, cittadini devono dunque accelerare gli sforzi per scongiurare lo scenario peggiore. Anche perché, secondo le simulazioni dell’Ipcc, se il pianeta continua a riscaldarsi a questi ritmi, il limite di +1,5 gradi verrà raggiunto tra il 2030 e il 2052, cioè dopodomani. Il tempo è poco, la strada da percorrere obbligata. «Dobbiamo azzerare le emissioni di gas serra, principalmente della CO2 - continua Raes - non ci sono altre vie. Si può fare, non è un obiettivo irrealizzabile. L’Unione Europea ha già centrato il traguardo di una riduzione del 20% entro il 2020 e fissato il target del 40% di riduzione entro il 2030».

    Otto Governi Ue (Belgio, Francia, Danimarca, Olanda, Lussemburgo, Portogallo, Spagna e Svezia) si sono spinti oltre proponendo che l’Unione adotti l’obiettivo di zero emissioni nel 2050. La Commissione governativa istituita dal Governo britannico ha raccomandato la stessa cosa in un recente e molto atteso rapporto.

    ... ma non può combattere da sola il climate change
    L’Ue da sola però non può risolvere tutti i problemi: è responsabile solo del 10% delle emissioni globali. In Cina e Usa - i due primi inquinatori - negli ultimi 3 anni le emissioni sono risalite: rispetto al 1990 in Cina sono più che quadruplicate, negli Stati Uniti sono invariate.

    Per capire se i 185 Paesi che hanno ratificato l’Accordo di Parigi fanno sul serio dovremo attendere il 2020, quando ogni Governo dovrà mettere sul tavolo i nuovi obiettivi di taglio delle emissioni e le azioni previste. «I climatologi - conclude Raes - dicono che per stare sotto ai 2 gradi l’umanità può produrre ancora mille miliardi di tonnellate di CO2. Con 10 miliardi di abitanti sulla Terra, ognuno di noi avrebbe un budget di 100 tonnellate di CO2. Un italiano in media ne produce 7 all’anno. È però ingenuo basarsi solo sulla buona volontà delle persone. Servono precise scelte politiche. Ci sono due strade che dobbiamo percorrere: tassare chi inquina e continuare a investire sulle nuove tecnologie pulite».

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