Mentre Procura di Venezia e Capitaneria di porto hanno aperto indagini sullo speronamento (involontario) di Msc Opera nei confronti del battello fluviale River Contess, che ha provocato quattro feriti non gravi, trema il tessuto economico che ruota intorno al business delle crociere del capoluogo veneto. Venezia è il secondo scalo crocieristico italiano dopo Civitavecchia: nel 2018 ha movimentato 1,56 milioni di crocieristi (con 502 toccate nave). E i passeggeri generano forti impatti economici che, nel caso dello scalo lagunare, sono stati computati da uno studio commissionato dalla divsione italiana di Clia (associazione internazionale che riunisce le compagnie da crociera) alla società Risposte Turismo. Il report è del 2018 e si basa sui dati del 2017, che è stato l’anno peggiore dal 2013 per le crociere a Venezia, con 1,42 milioni di passeggeri movimentati e 466 toccate nave.
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Lo studio certifica che l’arrivo delle navi da crociera a Venezia genera un impatto economico positivo per l’Italia pari a 410 milioni di euro, creando più di 4mila posti di lavoro stabili. Nella città di Venezia, la spesa diretta di passeggeri, equipaggi e navi nel 2017 ha raggiunto i 155 milioni, pari a 426mila euro ogni giorno, che diventano 676mila se si considerano solo i giorni in cui almeno una nave è in città. In sintesi, con 1,41 milioni di passeggeri, la crocieristica ha coperto quasi il 3% del Pil dell’economia di Venezia. Numeri che devono considerarsi in aumento nel 2018 visto che il traffico passeggeri è salito, rispetto all’anno precedente, del 9,3% e le toccate nave del 7,73%. Occorre ricordare, tra l’altro, che i crocieristi hanno tassi di spesa superiori a tutti gli altri turisti: fino a 250 euro per le gite organizzate giornaliere.
Il traffico crocieristico veneziano, peraltro, è sotto scacco dal 13 gennaio 2012, data del naufragio di Costa Concordia, davanti all’isola del Giglio. Fino ad allora le grandi navi passeggeri avevano navigato senza problemi attraverso il canale della Giudecca (così come faceva domenica Msc Opera), per arrivare al porto di Marittima, oggi destinato alle navi da crociera, con otto accosti utilizzabili in contemporanea. Da Concordia in poi si alza la voce di chi ritiene che il passaggio delle navi per la Giudecca possa causare danni a Venezia. Da allora comunque, nonostante il decreto Clini-Passera (mai entrato realmente in vigore) per limitare il traffico crocieristico, numerose riunioni, comitati e appelli a cinque Governi in sette anni, l’unica regola applicata è stata l’autoregolamentazione delle compagnie crocieristiche che limita l’ingresso nella Giudecca a navi entro le 96mila tonnellate di stazza.
In seguito a questo provvedimento, comunque, dal 2013 al 2017, il numero di passeggeri movimenti a Venezia è diminuito di un quarto; la spesa diretta complessiva è calata di 45 milioni e il giro di affari totale si è ridotto di 123 milioni. Cifre che il segno positivo del 2018 non ha fatto certo recuperare. Il timore è che l’incidente di Opera ora crei altri danni al settore. Anche perché nel 2017 sembrava essersi delineata una soluzione condivisa: navi oltre le 55mila tonnellate a Marghera e quelle più piccole alla Marittima, non più attraverso Giudecca ma prima per il canale dei petroli e poi per il canale Vittorio Emanuele, che però deve essere adeguato al servizio. Una soluzione che ieri Clia è tornata a chiedere con forza, insieme al governatore del Veneto, Luca Zaia e al sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. Quest’ultimo denunciando le «responsabilità» del ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, che, appena salito in carica, aveva stoppato quel progetto e chiesto un’analisi costi-benefici valutando tre ipotesi alternative a quella che aveva messo (quasi) tutti d’accordo.
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