È rottura tra sindacati metalmeccanici e ArcelorMittal Italia sulla richiesta di quest'ultima di collocare, dall'1 luglio, 1395 dipendenti dello stabilimento di Taranto in cassa integrazione ordinaria per 13 settimane. Dopo l'incontro di giovedì, le sigle Fim, Fiom e Uilm «hanno con forza rigettato al mittente tale procedura non volendo neanche entrare nel merito». I tre sindacati invitano il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, garante dell'accordo siglato lo scorso settembre, «a convocare un incontro per verificare la completa applicazione dello stesso».
Di Maio: tengano fede agli accordi
L'accordo è quello sul passaggio di Ilva dall'amministrazione straordinaria dei commissari ad ArcelorMittal Italia. E l'incontro
al Mise ci sarà. «Sono stufo di aziende che firmano gli accordi e poi non vi tengono fede. La prossima settimana ci vedremo,
è già fissato un tavolo, devono tenere fede agli accordi» commenta Di Maio. I sindacati giudicano assurdo che un mese fa ArcelorMittal,
pur parlando di crisi manifesta dell'acciaio con i tagli produttivi in Europa, ha negato conseguenze per Taranto all'infuori
del rinvio, da quest'anno al prossimo, dell'obiettivo 6 milioni di tonnellate di produzione, e ora ricorre alla cassa integrazione.
Con i 1.395 che si aggiungono ai circa 1600 già in cassa straordinaria a zero ore con la “vecchia” Ilva. Si spinge invece
oltre l'Usb. Per il quale, ArcelorMittal è «gestore in affitto e non proprietario, si è palesemente reso inaffidabile nella
gestione dello stabilimento». Quindi, per l'Usb, il Governo deve «addirittura annullare e revocare l'accordo e il conseguente
contratto di affitto acquisendo lo stabilimento».
Su 1.395 in Cig, oltre mille sono operai
L'azienda, che aveva anticipato ieri pomeriggio il ricorso alla cassa ordinaria, oggi ha spiegato come intende procedere.
I 1.395 lavoratori coinvolti sono così ripartiti: 1.011 operai, 106 intermedi, 278 tra impiegati e quadri. Per l’azienda,
la «transitoria crisi del mercato europeo e nazionale determina la necessità della progressiva è temporanea fermata totale
o riduzione della marcia in taluni impianti quali la colata continua 5 (Area Primary), il Treno Nastri 1 e il laminatoio a
freddo (Area Finishing) e delle aree funzionali alla marcia degli stessi impianti quali le officine centrali di manutenzione,
staff, utilities e logistica». «Le sospensioni della prestazione lavorativa che saranno operate a zero ore potranno interessare
contestualmente sino ad un massimo di 1.395 dipendenti per giornata lavorativa» dice ArcelorMittal Italia nel documento ai
sindacati. Le sospensioni decorrono dall'1 luglio «per le successive 13 settimane»e l'azienda afferma che «allo stato è ipotizzabile
una ripresa del mercato e della domanda»a valle del periodo di cassa, fatta salva, specifica l'azienda, la «necessità di eventuale
proroga».
ArcelorMittal propone nuovo incontro l’11 giugno
ArcelorMittal propone quindi un approfondimento sul tema ai sindacati con un nuovo incontro l'11 giugno a Taranto alle 14.
La cassa integrazione riguarderà nel dettaglio 564 addetti dell'Area Primary, 707 dell'Area Finishing, 124 dell'Area Others
per un totale, appunto, di 1395 addetti. ArcelorMittal ha reso noto che al 31 maggio scorso l'organico di Taranto era pari
a 8.250 addetti, di cui 5.660 operai, 1.675 quadri e impiegati, 870 intermedi, 45 dirigenti. La parte rilevante del personale
è tra Area Primary con 5.147 addetti e Area Finishing con 2.423. ArcelorMittal Italia spiega nel documento che «le cause che
inducono alla richiesta di intervento dell'ammortizzatore», appunto la cassa integrazione ordinaria, «sono riconducibili al
progressivo deteriorarsi degli indicatori del mercato manifatturiero, circostanza che ha determinato negli operatori economici
scelte di investimento inferiori ai livelli medi attesi, con conseguente calo degli ordini dei beni prodotti dall'unita produttiva
di Taranto in misura eccedente le ordinarie oscillazioni congiunturali». Per ArcelorMittal Italia, «l'attività di impresa
nel settore dell'acciaio è allo stato fortemente influenzata da una situazione economica globale stagnante».
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