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La coop del Tavernello: dagli scarti del vino maxi impianto di biometano

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La coop del Tavernello: dagli scarti del vino maxi impianto di biometano

Faenza (Ravenna) – Mezzo secolo fa ha inaugurato la stagione dell’economia circolare, producendo materia prima seconda destinata a vari settori dell’industria – da quella alimentare a quella farmaceutica - con gli scarti e i sottoprodotti della produzione del vino. Oggi Caviro fa da apripista a Faenza alla produzione di biometano nella filiera agro industriale italiana.

Il consorzio cooperativo romagnolo, tra i primi tre produttori di vino del Paese (il suo marchio più famoso è il popolarissimo Tavernello), con un investimento di nove milioni di euro ha infatti aperto un maxi impianto di biometano agricolo del Paese. A regime avrà una capacità produttiva di 12 milioni di m3 di biometano avanzato che verranno immessi nella rete nazionale Snam: quanto basta a rifornire circa 18mila auto all’anno. Motore dell’operazione è Caviro Extra, la società del gruppo che si occupa di creare valore dai sottoprodotti dell’industria vinicola e agroindustriale.

«Innovazione e green economy sono la chiave della nostra competitività», dice il presidente del consorzio Carlo Delmonte. Questione di sostenibilità ambientale ma non solo. «Cerchiamo di dare maggiore reddito ai viticoltori con i sottoprodotti», spiega il direttore generale Simonpietro Felici. Ciò che entrerà nei digestori dell’impianto è costituito dai reflui delle attività di distillazione e della filiera agroindustriale del territorio. Il gas in uscita, dopo una depurazione attraverso un processo di digestione anaerobica, sarà quindi più puro di quello tradizionalmente presente nella rete nazionale, in quanto privo di idrocarburi fossili.

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Caviro è un colosso del vino. Con 12.500 soci viticoltori in sette regioni e l’11% dell’uva italiana conferita, è la cantina più grande d’Italia, un big con una produzione che oscilla tra i 4 e i 5 milioni di ettolitri all’anno, con un fatturato di 330 milioni di euro e cinque milioni di clienti. L’economia circolare è nel suo Dna. Ogni anno raccoglie circa 370mila tonnellate di scarti di produzione, tra mosti, feccia e reflui, con i quali produce materia prima seconda. L’intervento, iniziato nel 2014 con il primo decreto sul biometano, è il risultato della riconversione di un impianto a biogas su un’area di oltre trenta ettari alle porte di Faenza, dove lo storico consorzio (è stato fondato nel 1966) ha il proprio quartiere generale.

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«Un momento storico per l’agricoltura italiana», dice Piero Gattoni, presidente del Consorzio italiano biogas. La tecnologia adottata ha permesso di ricavare due correnti in uscita, una di biometano e una di C02. L’anidride carbonica sarà riutilizzata, per evitarne l’immissione in atmosfera. I residui che rimangono dopo il processo di digestione, ricchi di sostanza organica, saranno invece usati come fertilizzante naturale in agricoltura.

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