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Usare il cellulare non vuol dire essere digitali

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L'Analisi|miti da sfatare

Usare il cellulare non vuol dire essere digitali

In Italia una delle preoccupazioni maggiori delle grandi aziende è la digitalizzazione. Secondo molti, l'apertura al mondo digitale – e a tutto quello che, ovviamente, ne consegue – dovrebbe essere il/la milestone di ogni CDA evoluto. Un problema – anche se credo sia molto meglio parlare di opportunità – che viene affrontato solo nelle aziende di grandi dimensioni perché, almeno al momento, la questione è ancora fuori da gran parte delle imprese più piccole.
Ma parlare di digitalizzazione significa necessariamente parlare (anche) di cambiamento culturale e di evoluzione di competenze delle risorse che non sono sempre pronte ad accogliere i cambiamenti con il giusto approccio. Questo può dipendere da molteplici fattori: può essere una questione anagrafica, una mancanza di competenze tecniche o di conoscenze.

A Davos si è molto parlato di up-skilling e re-skilling, due termini che tradotti in soldoni implicano la capacità delle aziende di investire nelle proprie risorse, sia per riqualificarle sia per aumentare le loro conoscenze. Nel primo caso ci riferiamo a tutti quei ruoli che, con l'avvento della tecnologia, sono destinati a diventare obsoleti. Che fine faranno tutte queste Risorse? Certo, una parte potrà essere avviata alla pensione, ma quelli a cui mancano 10 o 15 anni di lavoro che ruolo saranno destinati a ricoprire in uffici sempre più tecnologici?

Ed ecco che, allora, si apre un'altra delicatissima questione: come riuscire a riqualificare queste risorse in epoca digitale? Se è vero che in partenza ci diamo tutti per vinti, ho riscontrato – nel corso delle mie consulenze o sessioni di formazione – che c'è un enorme potenziale nascosto e che il digitale può essere, per tutte queste risorse, una vera opportunità di crescita e sviluppo. Sono professionisti che hanno lavorato per molto tempo in azienda, conoscono procedure e processi, hanno un livello di istruzione elevato, ma soprattutto conoscono la crisi e hanno ben chiaro che cosa vuol dire restare senza un lavoro.

Un quadro, quello appena tracciato, che si contrappone di netto ai profili più junior che vengono considerate digitali solo per il fatto che sono in grado di usare un phone touch. Ma davvero possiamo considerare queste due cose coincidenti? Io direi proprio di no. Le competenze tecniche, quelle cioè che realmente cercano le aziende per restare al passo con i tempi, sono ancora piuttosto rare e le nostre università fanno fatica a tenere il ritmo delle richieste. Basti pensare, ad esempio, che le nostre università sfornano 1 ingegnere informatico ogni 4 richieste. Stesso discorso per programmatori o web developer.

E per poter far fronte all'evoluzione che ci aspetta – e che ci investirà nei prossimi mesi – non possiamo aspettare le prossime leve, rischiamo che sia troppo tardi. Ecco perché è bene imparare a lavorare su – e con – le risorse che abbiamo già in azienda, provando a riprogrammare le loro competenze, adattandole al nostro mondo sempre più complesso e in evoluzione.

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