È una fotografia dalle sfumature opache, dai contorni in divenire ma al momento poco rassicuranti quella che ha scattato Randstad (multinazionale olandese fra i principali operatori al mondo nel campo dei servizi per le risorse umane) con il suo periodico Workmonitor sul livello di «digital awareness» sul posto di lavoro. Nel quarto trimestre del 2016, dall’indagine che campiona oltre 12mila addetti in 33 diversi Paesi del mondo, emerge dunque la figura di un’Italia digitalmente in ritardo, afflitta da contraddizioni per altro note. Il 90% dei dipendenti italiani ritiene infatti che tutte le aziende dovrebbero sviluppare una strategia digitale, ma a loro dire solo il 30% delle imprese dispone di personale adeguato. E il 67% denuncia di avere scarse competenze legate alle nuove tecnologie.
I lavoratori della Penisola, in altre parole, considerano la digitalizzazione un elemento fondamentale per il successo dell’azienda in cui sono impiegati e le competenze digitali un fattore indispensabile per restare competitivi nel mercato del lavoro, ma in due casi su tre si sentono scarsamente qualificati in questo campo per continuare ad essere un profilo spendibile nel mercato del lavoro anche in futuro. «Dai risultati della ricerca – osserva in proposito Marco Ceresa, Amministratore Delegato di Randstad Italia - le imprese italiane appaiono ancora poco preparate alla sfida digitale. La maggior parte dei lavoratori sente il bisogno di accrescere le proprie competenze, denunciando la necessità di formazione».
Eppure, come dicono i dati del rapporto, la consapevolezza circa l’opportunità di una strategia digitale dei lavoratori italiani è addirittura superiore alla media globale, che si ferma all'84%, posizionando il Belpaese al sesto posto assoluto tra le nazioni oggetto di indagine. Come spesso accade, le buone intenzioni non sono accompagnate dai fatti: solo il 57% dei lavoratori ritiene che la propria azienda abbia già adottato una strategia digitale, contro il 59% della media globale (ai primi posti India, Cina, Stati Uniti e Malesia, agli ultimi rispettivamente Argentina, Giappone e Ungheria) mentre il 70% è dell’idea che la propria impresa non disponga di personale con le competenze adeguate ad avviare il percorso di digitalizzazione (siamo due punti sopra la media dei Paesi analizzati).
Gli autori di Workmonitor definiscono non a caso “ambiguo” l’atteggiamento degli addetti tricolori, fatto di ottimismo e apprensione allo stesso tempo. C’è infatti una buona fetta di lavoratori, il 43%, convinto che buona parte delle proprie mansioni, quelle più ripetitive o di routine, potrebbero essere automatizzate mentre una porzione ancora più ampia (il 59%) vede nell’'automazione uno strumento per poter aumentare la creatività. Per contro, come già sottolineato, due italiani su tre si dichiarano digitalmente impreparati e tale ammissione di inadeguatezza è superiore di cinque punti percentuali rispetto al dato medio globale (67% contro 62%) anche se lontana dai livelli record di Cina e Malesia (ai primi posti con oltre il 90% di dipendenti impreparato).
A rendere il quadro complessivo forse meno preoccupante è un altro spaccato sul mondo del lavoro a firma di Randstad, e cioè l’Economic Outlook 2017 del Workmonitor, diffuso a inizio anno. Ebbene, il 2017 si è aperto all’insegna della fiducia, da parte degli italiani, nel futuro dell’impresa per cui lavorano, per quanto non manchi un lieve indebolimento dell'opinione relativa al miglioramento della situazione economica del Paese. La dicotomia in questione vede infatti il 74% dei dipendenti oggetto di indagine dichiararsi ottimisti sulle possibilità di crescita della propria azienda mentre solo il 41% (percentuale in flessione di dieci punti rispetto alla precedente rilevazione e decisamente inferiore al 52% della media globale) crede nella ripresa economica nazionale. Di positivo, come rimarca ancora Ceresa, c’è in ogni caso «la crescita della consapevolezza che il mercato del lavoro sia in evoluzione e che i lavoratori debbano adattarsi sempre di più a nuovi contesti ed esigenze della domanda, a cominciare dalla sfida della re-generation e dell’active ageing per arrivare alla digitalizzazione e al ruolo fondamentale della tecnologia».
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