Management

Ingegneri del software, trovarli è come una caccia al tesoro

  • Abbonati
  • Accedi
professioni

Ingegneri del software, trovarli è come una caccia al tesoro

È veramente così difficile trovare talenti con competenze tecnologiche? A precisa domanda, Marcello Ricotti, Amministratore Delegato di Ariadne, società del pavese specializzata nel campo delle soluzioni di Web engineering, risponde con un aggettivo che non lascia dubbi di sorta. «È bestiale - dice al Sole24ore.com -, perché manca il materiale umano. E dico questo forte dell’esperienza che ci deriva dall’essere in contatto con aziende di medie dimensioni, dai 500 ai 200 dipendenti, che sviluppano software in tutto il Nord Italia». Per una società che nel corso degli ultimi sei anni ha saputo raddoppiare il proprio fatturato e portato in organico nell’ultimo biennio ben dodici nuove risorse, a cui si aggiungono le sette assunte con contratto a tempo indeterminato dall'inizio dell’anno a oggi (in totale l’azienda impiega una cinquantina di persone, di cui l'80% ingegneri e con un’eta media di 34 anni), non poter “accedere” a profili professionali adeguati è un problema. Serio.

Un problema che interessa interi distretti industriali, come quello delle aziende che lavorano sulle tecnologie per l'automotive, e che paga uno “shortage” in parte spiegabile con la dipartita all’estero di molti neolaureati. «Dalle università non escono figure a sufficienza rispetto alla domanda», continua Ricotti, confermando come tale situazione sia ampiamente diffusa, e sistemica, su scala nazionale. Con effetti ovviamente dannosi. «Se non troviamo le persone che servono dobbiamo rallentare l’esecuzione di alcuni progetti, e in alcuni casi siamo costretti addirittura a cancellarli», dice ancora il numero uno di Ariadne. Che si dimostra altresì scettico sulla possibilità di ricorrere all'offshoring dei talenti guardando all’India o ai Paesi dell’Est, “perché l’ingegnere italiano ha maggiori potenzialità progettuali e di apprendimento che vanno oltre la mera scrittura di codice».

La speranza di poter invertire la tendenza è quindi legata alla buona riuscita dei master che nascono da iniziative private. «Spesso – ci spiega ancora Ricotti - i tentativi degli imprenditori sono falliti per la mancanza di iscritti ai corsi; il master in software development che lanceremo a inizio 2018 in collaborazione con l’Università di Pavia ha l’obiettivo di avere 40/50 iscritti, confidiamo di raggiungere questo numero». Quello che viene descritto come uno dei crocevia per le velleità di innovazione del sistema Paese, e cioè la disponibilità e la formazione di competenze per affrontare e gestire la trasformazione digitale, è dunque una problematica concreta. Che penalizza le aziende impegnate da anni a lavorare nel mondo del digitale, ritagliandosi (a volte succede, come è successo ad Ariadne) spazi importanti, al cospetto delle grandi società di consulenza, per portare avanti progetti legati all’innovazione tecnologica.

Il baco alla base della difficoltà di reperire professionalità e talenti in campo software è quello di un settore che viene percepito ancora di nicchia e quindi poco interessante per i giovani diplomati che si trovano a dover scegliere il loro percorso accademico futuro. Il software, insomma, non è particolarmente attraente in Italia e tantomeno le professioni ad esso legato. Per questo, sostiene Ricotti, «serve una maggiore sensibilizzazione sulla tipologia delle competenze sulle nuove tecnologie, ed è indispensabile un doppio cambio di mentalità: da un lato è importante che i ragazzi si avvicinino a queste materie fin dalle scuole superiori, dall’altro è necessario che il mercato valorizzi nella giusta misura queste competenze, affinché anche gli stipendi di questi professionisti possano crescere e avvicinarsi il più possibile a quelli offerti all’estero».

Anche le aziende, insomma, devono fare la propria parte. Valorizzando agli occhi dei candidati, per esempio, le peculiarità di un’organizzazione fondata su dinamiche più veloci e in grado di offrire da subito visibilità e responsabilità che una grande multinazionale non può garantire, almeno inizialmente. Serve quindi uno sforzo per migliorare i livelli di inquadramento economico (Ariadne, in quest’ottica, ricorre a dei bonus) e superare, come dice Ricotti, metriche “tribali” che ancora misurano il valore delle prestazioni giorno/uomo.

«I ragazzi - conclude così il suo appello l’Ad di Ariadne - vanno invogliati a credere e a investire sulle opportunità di sbocco professionale legate alle conoscenze del software, perché c'è un bisogno enorme di queste figure. Anche il piano Industria 4.0 credo vada nella direzione giusta per preparare gli studenti, e cioè quella di aiutarli a mettere le mani in pasta nella tecnologia, a formarli per utilizzare gli strumenti digitali e ad applicarli ai problemi pratici di un’azienda».

© Riproduzione riservata