Management

Sport e vita privata entrano a pieno titolo nel curriculum vitae

  • Abbonati
  • Accedi
L'Analisi|il commento

Sport e vita privata entrano a pieno titolo nel curriculum vitae

Quando gli americani ti presentano Mike Eruzione, prima di spiegarti quale sia il suo ruolo di consulente strategico ci tengono, con orgoglio, a sottolineare che si tratta proprio del capitano del mitico team Usa di hockey 1980: quello composto di soli universitari capaci di sfidare, e di vincere, le Olimpiadi di Lake Placid battendo in finale i professionisti mascherati da dilettanti dell’Unione Sovietica. Perché lo sport, negli Stati Uniti, da tempo occupa una posizione di rilievo nella stesura del curriculum vitae. Sia che si tratti di un campione come Mike Eruzione (o come Magic Johnson e Shaquille O’Neal, capaci di costruire solide attività imprenditoriali) sia che si riferisca a uno delle migliaia di giovani che ogni anno vengono sfornati dalle migliori Università del Paese.

La moda, se così vogliamo chiamarla, sta prendendo piede anche da noi: perché attraverso la pratica di uno sport si imparano più cose di quanto si possa immaginare sul gestire le relazioni, sul fare gruppo, sull’essere leader. Aver praticato o praticare ancora pallacanestro, per esempio, insegna a gestire (e risolvere) conflitti non solo con tempi lunghi all’interno di uno spogliatoio, ma anche in tempi brevissimi: visto che, al massimo, per completare un’azione ci sono a disposizione 24 secondi. Una scuola di vita, e di management, mica da ridere.

Il modo di presentarsi per ottenere un colloquio di lavoro, e possibilmente il posto, è progressivamente cambiata nel corso del tempo: se il cosiddetto “curriculum europeo” è ancora la base per tutti, le società di head hunters e le direzioni del personale delle aziende iniziano a prestare una crescente attenzione a “valori” diversi. Va bene sapere quali scuole hai fatto e con quali risultati; va altrettanto bene sapere se hai già ricoperto altri incarichi, ma la sfera personale sta assumendo una rilevanza crescente.

Al punto che sempre più spesso, per conoscere davvero i candidati, si scandagliano i profili Facebook, si cercano i messaggi via Twitter, si guardano con attenzione le frequentazioni con relativa presentazione di sé stessi su network dedicati, Linkedin in prima fila.

Allo stesso modo nel curriculum vitae è bene inserire, a differenza di quanto accadeva una volta, alcune indicazioni sulla propria vita quotidiana, per dare un’immagine più completa della propria personalità: un manager americano, di recente, ha compilato il proprio curriculum inserendo una «giornata tipo», in cui racconta tutto quello che fa in campo professionale ed extraprofessionale. Una soluzione atipica, che gli head hunters iniziano ad apprezzare.

Altro elemento importante, ognuno di noi dovrebbe preparare non tanto «il curriculum», da compilare come se fosse scolpito nella roccia per poi spedirlo a diverse aziende, ma una serie di presentazioni differenti, tarate su misura per il proprio interlocutore. Non tutte le aziende si aspettano le stesse cose, quindi è importante essere essenziali, visto che la prima lettura porta via non più di venti secondi e in quei venti secondi bisogna catturare l’attenzione; poi bisogna essere coerenti, facendo emergere un percorso di carriera (o di studi) che abbia un senso logico oppure, in caso di cambiamenti importanti, che abbia il sapore di un costante miglioramente e allargamento delle proprie competenze; infine bisogna cercare di dare risposte immediate a due domande che, sicuramente, chi legge il curriculum si porrà: «Che cosa può fare per me questa persona?». «In quale ruolo dell’organizzazione posso inserirlo?».

Addirittura c’è chi consiglia di non presentare subito il curriculum, ma di costringere il nostro interlocutore a chiederlo perché incuriosito dal racconto di una nostra esperienza lavorativa o di studio. Una storia “indimenticabile”, capace di colpire l’attenzione e difficile da dimenticare.

Quello che invece negli Stati Uniti e in molti Paesi europei stanno dimenticando, è la data di nascita: un dato ritenuto addirittura discriminatorio perchè farebbe scattare immediatamente la molla del «troppo vecchio», con il rischio di rinunciare alla collaborazione di un talento vero, carico di esperienza e, nonostante l’età avanzata, di tanta voglia di lavorare. Ma questo, a differenza di quanto scritto prima, non può (ancora) essere un consiglio: la data di nascita, in Italia, resta un elemento indispensabile.

© Riproduzione riservata