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fuga dall’autopilot team

Le dimissioni alla Tesla sono un caso di coscienza o di... prudenza?

Perché è in atto una sorta di fuga di massa dall’«Autopilot team» di Tesla, il gruppo di tecnici impegnato nella gara per la messa a punto di un sistema di self-driving che possa realmente funzionare senza l’intervento umano? Perché in un’impresa come Tesla, posta da Forbes al secondo posto assoluto (davanti ad Amazon) nella classifica The World’s Most Innovative Companies del 2017? Perché in un’impresa che ha come fondatore e CEO uno dei personaggi più carismatici della Silicon Valley?

Qualche dato su Tesla e su Elon Musk. Nell’immaginario collettivo, Tesla si identifica con l’idea stessa di auto elettrica, di cui vuole diventare (con il modello in fase di lancio) produttrice di massa, dopo essere cresciuta operando invece nella fascia più esclusiva del mercato. Un’auto elettrica concepita come un grande smartphone, che come lo smartphone è in grado di accrescere il livello delle prestazioni con i miglioramenti progressivamente apportati al sistema operativo e che come lo smartphone permette (attraverso la connessione continua alla rete) di raccogliere una quantità enorme di dati sul funzionamento delle auto, utilissimi per la messa a punto delle funzioni di supporto alla guida. Un’auto elettrica che ha un grande punto di forza nelle batterie, per la concezione innovativa che ne permette una maggiore durata e per le economie di scala a livello produttivo (una “megafactory” per produrne mezzo milione è in fase di completamento).

Tesla è molto amata dalla Borsa, ancorchè tuttora in perdita a quattordici anni dalla nascita: è valutata infatti quasi 58 miliardi di dollari, 6 più di General Motors, nonostante il divario nei ricavi (10 miliardi contro 160) e ancor più nell’utile netto (meno 700 milioni contro più 9,7 miliardi). Il suo capo storico, Elon Musk, non proviene dal settore automobilistico (al momento della fondazione era noto soprattutto per essere stato co-fondatore di PayPal) e ha interessi nei settori più diversi, fra cui quello dei viaggi nello spazio (nel cui ambito è fondatore e CEO di SpaceX).

Perché allora, tornando al punto iniziale, le dimissioni a catena dall’Autopilot team, evidenziate nei giorni scorsi – con notevole ampiezza – da The Wall Street Journal? La prima idea che viene in mente è che gli abbandoni siano legati alle ricche offerte provenienti da altre imprese, in un contesto che vede in affannosa gara per essere primi nella realizzazione di reali sistemi di self-driving sia le storiche imprese automobilistiche, sia quelle operanti nella strumentazione (radar ecc.) sia le “grandi” del digitale. È già successo ad Alphabet, pioniera del settore, colpita da un esodo di massa dal team che aveva lanciato la «Google car»: un esodo finalizzato, come poi è apparso chiaro, a capitalizzare le esperienze maturate in Google vendendole a Uber.

Si può anche pensare, come mi è stato suggerito da un commento a un mio post su LinkedIn, che una spinta all’esodo – alla ricerca di posti meno stressanti - sia stata originata dall’eccessiva pressione psicologica esercitata sul team per ottenere risultati a breve.

La vera motivazione sembra però essere un'altra: il contrasto fra l’annuncio al mondo di Elon Musk che il sistema operativo in via di uscita avrebbe finalmente permesso (autorità permettendo) una guida dell’auto senza interventi umani, e la convinzione invece dei membri del team che non ci fossero ancora le condizioni di sicurezza adeguate e che l’annuncio potesse spingere qualche automobilista a scelte di guida azzardate e potenzialmente mortali.

Un interessante caso di coscienza, o forse semplicemente di prudenza (per non rimanere coinvolti in eventuali processi), sicuramente favorito dalla facilità di trovare posti di lavoro altrettanto remunerativi e meno stressanti. Un interessante caso di scuola sul conflitto fra le esigenze del marketing e le esigenze di trasparenza nei riguardi dei potenziali clienti: che troppo spesso vede la prevalenza delle prime, in assenza di problemi di coscienza o di prudenza che facciano da freno.

* Professore emerito del Politecnico di Milano

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