Management

Gestire i talenti in azienda? Così le tecnologie aiutano i manager Hr

  • Abbonati
  • Accedi
ilcaso GE

Gestire i talenti in azienda? Così le tecnologie aiutano i manager Hr

Attrarre, sviluppare, motivare e preservare figure di talento, pena il rischio di rimanere indietro. L’assunto suona quasi minaccioso e molte aziende multinazionali ne hanno fatto una sorta di dogma per cavalcare il paradigma della trasformazione digitale. In alcuni casi, però, le politiche di talent management non corrispondono ad azioni concrete per elevare lo “status” delle risorse aziendali, in altri ancora risultano anacronistiche, in relazione al grande cambiamento che ha interessato il mondo Hr.

Per il management aziendale massimizzare il valore di un talento non è quindi operazione scontata. Anzi. Se viene a mancare la capacità di sfruttarne il potenziale per migliorare lo sviluppo dell’organizzazione, il suo apporto funzionale viene meno. Gestire i talenti è la vera sfida, ma non è l’unica. Individuare e coltivare risorse di eccellenza, affrontando lo scoglio di una certificata difficoltà nel reperirle sul mercato, deve accompagnarsi allo sforzo di potenziare le attitudini di tutte (o della maggior parte) delle risorse disponibili, lavorando su logiche collaborative e di team building, investendo sulla creazione di (nuove) leadership votate a modelli innovativi. Il punto di partenza, di norma, dovrebbe essere la definizione di profili ideali in grado di diventare il riferimento per la ricerca (esterna, ma anche interna) di figure ad alto potenziale.

Per identificarle dentro l’organizzazione occorre mettere in correlazione i tratti salienti del potenziale, sia quelli espressi dal candidato (l’aspettativa di sviluppo e la disponibilità a svolgere differenti ruoli, a cambiare lavoro, a viaggiare, a trasferirsi) sia quelli emersi da un’analisi svolta con modalità tradizionali. Il punto focale della questione è facilmente intuibile: come si valuta il potenziale di un talento? Il feeling di manager o di comitati di valutazione improvvisati non possono bastare. I processi di analisi del potenziale richiedono competenze specifiche, che spesso neppure generici consulenti Hr o «head hunter» di professione posseggono. La tecnologia, in tal senso, viene in aiuto.

Il caso di GE, colosso da 300mila dipendenti, fa in proposito scuola. A firma dell’ex Ceo, Jeff Immelt (in carica per 16 anni, il manager ha lasciato a inizio agosto la poltrona a John Flannery e a fine anno andrà definitivamente in pensione) è infatti il progetto legato all’utilizzo di algoritmi per trasformare il modo in cui la multinazionale gestisce i propri talenti. GE ha assunto migliaia di ingegneri software e di nativi digitali, figure (soprattutto queste ultime) tendenzialmente dotate di scarsa simpatia per i classici processi burocratici delle grandissime organizzazioni e al contempo votate a una rapida carriera. Per affrontare questo problema la divisione Hr sta sviluppando una serie di applicazioni di analytics per aiutare questi addetti a sviluppare le rispettive professionalità, identificare le potenzialità più elevate e abbinarle alle opportunità di formazione.

La svolta “algoritmica” di GE è focalizzata su diverse aree del talent management fra cui pianificazione della carriera (e della successione), formazione, network di relazioni, fidelizzazione (dei talenti) e cambiamento culturale. L’intelligenza del software, per esempio, utilizzerà i dati storici dei dipendenti (aumenti salariali, bonus, tassi di promozione, attitudini, funzioni svolte) e la correlazione dei posti di lavoro da questi occupati per individuare nuove opportunità potenziali di impiego del singolo addetto in tutta l’azienda. L’app supporterà inoltre i leader nel migliorare il processo di pianificazione della successione per un determinato ruolo, identificando candidati non scontati. La tecnologia, insomma, come ha osservato Paul Davies, un executive delle Hr di GE, «aiuta a trovare nuove possibilità».

Per fidelizzare i talenti, invece, arriverà in soccorso dei manager un software progettato per prevedere, nell’ambito di una finestra temporale di sei mesi, quando manager e dipendenti di una determinata funzione sono suscettibili di abbandonare l’azienda. L’algoritmo, in altre parole, identificherà alcune circostanze che si ripetono quando un componente lascia un team o una posizione, fornendo gli strumenti per intervenire e proporre ruoli alternativi al dipendente in fuga dall’azienda. Affermare che una serie di applicazioni sia la formula magica per fidelizzare e sviluppare talenti è ovviamente improprio.

Che si tratti però di strumenti in grado di assicurare (a GE nel caso specifico) maggiore precisione ed efficacia nei processi di valutazione, superando i limiti della sola intuizione e della polarizzazione in termini di ciò che funziona e ciò che non funziona, è però altrettanto oggettivo. Man mano che le tecnologie di analytics progrediscono, ha sottolineato in proposito Cade Massey, professore alla Wharton School (la business school) della University of Pennsylvania, «offriranno la possibilità di rendere più rigorosi quei metodi intuitivi e di indirizzare meglio i giudizi».

© Riproduzione riservata