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Le città cambiano solo se il loro management si trasforma

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Le città cambiano solo se il loro management si trasforma

Quasi un miliardo di euro sta arrivando nelle 14 città metropolitane italiane per realizzare progetti di innovazione: è il “PON Metro” uno dei Piani Nazionali della programmazione 2014-2020. Di questi una buona parte sono dedicati all’Agenda Digitale, ossia ad applicare il «paradigma Smart city per il ridisegno e la modernizzazione dei servizi urbani per i residenti e gli utilizzatori delle città». Si tratta di un’importante dotazione finanziaria per la trasformazione digitale e quindi un’occasione da non perdere. Per avere risultati concreti, nonostante i precedenti non certo esaltanti, sono convinto che la differenza la farà, ancor più della politica, la qualità della dirigenza pubblica delle città. Una dirigenza apicale che deve radicalmente cambiare paradigmi di riferimento, passando dalla cultura dell’adempimento a quella di un project management complesso basato sulla negoziazione tra soggetti diversi, pubblici e privati.

Cinque mi sembrano le keyword, che devono diventare prassi e che saranno al centro dei seminari e degli incontri di IcityLab (www.icitylab.it ), il laboratorio delle Smart city in programma dal 24 ottobre a Milano, città laboratorio. La prima è “coerenza”: è necessario che i manager apicali delle città stilino e tengano sempre presente una «mappa delle coerenze», che sia concreta e modellata sulla visione dello sviluppo della città almeno nei prossimi 10/15 anni, su cui valutare con serietà e severità ogni investimento della città stessa e degli enti partecipati. Solo così l’innovazione digitale cambierà l’amministrazione della città riducendo i rischi di una «burocrazia difensiva», per cui è solo non facendo che si evitano rischi. Una mappa delle coerenze chiara e condivisa può rassicurare il «burocrate difensivo», impermeabile ai decreti e alle direttive, solo se diventa cultura aziendale cominciando dai più alti livelli e, solo successivamente, coinvolgendo la politica che, da sola, sarebbe orientata più a visioni di breve periodo, coincidenti al massimo con il mandato elettorale.

Secondo, “partecipazione”: lo sviluppo digitale è un potente fattore di partecipazione e di empowerment delle persone e delle comunità. Il piano di crescita digitale deve prevedere l’uso delle tecnologie digitali per creare un impianto di «Open Government» fatto di: strumenti per la trasparenza e l’accountability (Open data; Freedom of Information act; rendicontazione; ecc.); strumenti e ambienti per la partecipazione dei cittadini alle scelte (informazione, consultazioni, dibattito pubblico, ecc.); occasioni di collaborazione con gli stakeholders pubblici e privati (cittadinanza organizzata, enti locali, università e ricerca, aziende presenti sul territorio, ecc.). Questa parte essenziale della strategia deve essere tenuta nella massima considerazione, a pena della caduta di tutta l’iniziativa.

Terzo paradigma è quello delle “reti”: è necessario ridefinire il ruolo dell’amministrazione nella strategia di crescita digitale delle città: da produttore e gestore di servizi a garante di regole e di patti tra soggetti, siano essi pubblici, a capitale misto o privati, nell’ambito della costruzione della «amministrazione partner», l’unica in grado di attivare le energie e le forze vitali del territorio in un’ottica di sussidiarietà e di sharing economy. È questo il solo ambiente in cui cresce una reale Digital Social Innovation, la frontiera di un’azione d’innovazione tesa ad avere un reale impatto sulla vita dei cittadini e delle imprese, che sia valutata non sugli output, ma sugli outcome.

La quarta parola chiave è governance dei processi: è necessario un ripensamento dei modelli organizzativi e, poi, dei processi. L’innovazione che è frutto delle tecnologie digitali non può tradursi solo nel rendere più veloci ed efficienti i processi attuali, ma risiede nella capacità di attuare un cambiamento, ripensando, attraverso le opportunità del digitale, le nostre organizzazioni, i processi operativi, i servizi che riceviamo e che eroghiamo, con un focus sul raggiungimento di livelli sempre più elevati di efficienza, efficacia, qualità. In questo senso la strategia di crescita digitale delle città propone un’innovazione prima di tutto culturale.

Infine l’intelligente uso del procurement: particolare attenzione deve essere posta ai processi di acquisto che, spesso, seguono strade diverse da quelle di chi progetta l’innovazione. Non si tratta di un aspetto amministrativo, ma della cinghia di trasmissione del cambiamento. Una città strabica che cerca il nuovo, ma compra il vecchio, non ha speranza di crescere. Per questo aspetto il Piano Triennale per l’Informatica nella PA propone strumenti, quali ad esempio le convenzioni Consip per SPC, cloud, sicurezza, interoperabilità e Data Analytics Framework, servizi online e siti web, che permettono di massimizzare la velocità, mantenendo la coerenza e usufruendo dell’esperienza di amministrazioni simili per dimensioni e ruoli.

* Presidente Forum PA

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