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Imparare e aggiornarsi, per il nostro cervello non è la stessa cosa

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strategie di cambiamento

Imparare e aggiornarsi, per il nostro cervello non è la stessa cosa

Nel mio ultimo articolo ho evidenziato quanto sia importante decidere di cambiare lavoro solo dopo una disamina asettica della propria situazione professionale. Troppo spesso infatti, sopraffatti dalla tensione, dall’emotività, dalla stanchezza, non riusciamo ad essere lucidi nel mettere sul piatto della bilancia pregi e difetti della nostra attuale occupazione. Il primo tema analizzato è stato quello relativo alla nostra capacità di produrre valore aggiunto, di «fare la differenza»: conviene cercare un nuovo lavoro se la situazione professionale che viviamo ci rende oggettivamente e facilmente sostituibili. Se invece il nostro lavoro ci mette nelle condizioni di esprimere il nostro «tocco speciale», unico e difficilmente sostituibile, allora meglio pensarci due volte prima di lasciarlo.

La seconda questione da affrontare quando ci chiediamo spietatamente se valga la pena inseguire una nuova occupazione è relativa alle nostre possibilità di crescita e apprendimento: «Il mio attuale lavoro mi mette nelle condizioni di continuare a imparare nel tempo?». Molti di noi risponderebbero a questa domanda dicendo: «continuo a imparare perché nel mio lavoro ci sono continui aggiornamenti e io sono chiamato ad adeguarmi a questi aggiornamenti». In questa interpretazione dunque imparare significa aggiornarsi. E in effetti non c’è dubbio che il medico debba imparare a utilizzare un nuovo software, che il commercialista debba adeguarsi alla nuova normativa, che l’operaio debba misurarsi con un nuovo robot.

Molti di noi invece risponderebbero «imparo tutti i giorni, più faccio più acquisisco competenze e controllo sulla mia attività». In questa interpretazione imparare significa perfezionarsi, svolgere in modo sempre più efficiente il proprio compito: un venditore che accresce il suo fatturato perché sviluppa con l’esercizio uno stile negoziale sempre più incisivo; un ricercatore che accresce lo spessore scientifico delle sue analisi perché sviluppa con l’esercizio un metodo sempre più rigoroso; un imprenditore che accresce la redditività del suo business perché sviluppa con l’esercizio una capacità decisionale sempre più razionale.

Evidentemente lavorare significa aggiornarsi e significa perfezionarsi. È impossibile svolgere un’attività lavorativa senza aggiornarsi e senza perfezionarsi. Quindi se stiamo valutando di cambiare lavoro non dobbiamo chiederci se la nostra occupazione attuale ci consente di perfezionarci e di aggiornarci, perché la risposta sarà sicuramente affermativa. Dobbiamo chiederci invece se la nostra occupazione attuale ci consente di imparare, perché imparare non significa né aggiornarsi, né perfezionarsi. Imparare significa sviluppare un “saper fare” in una situazione nuova. Questa distinzione è fondamentale: sto imparando quando so cosa fare in una situazione per me inedita.

Un artigiano che utilizza un nuovo macchinario non sta imparando, sta semplicemente utilizzando uno strumento nuovo, si sta aggiornando. Un artigiano che migliora l’estetica del suo prodotto non sta imparando, sta perfezionando le sue capacità. Un artigiano che assume il suo primo dipendente e negozia con lui le condizioni contrattuali della collaborazione sta imparando perché sta maturando un “saper fare” in una situazione per lui nuova (non ha mai avuto prima un dipendente). Un operatore di call center che ha sempre gestito il post vendita e che viene chiamato a occuparsi di vendita (situazione per lui nuova) sta imparando. Un amministratore delegato che si esercita a gestire per la prima volta una conferenza stampa sta imparando perché sta vivendo una situazione per lui nuova. In questi termini, dunque, imparare sul lavoro significa essere esposti a situazioni inedite, mai vissute. Solo se il mio lavoro mi espone a situazioni nuove posso dire di avere un lavoro che mi consente di imparare.

Adesso sappiamo cosa significa imparare su lavoro. Ma perché è così importante per le nostre valutazioni? Per tre motivi, semplici e interconnessi tra di loro:
1) Se non impariamo aumentiamo la nostra sostituibilità. Mentre noi siamo fermi qualcuno intorno a noi corre. I software imparano, i nostri colleghi dall’altra parte del mondo imparano, i nostri colleghi più giovani imparano.
2) Se non impariamo siamo destinati a trovarci a disagio nel nuovo, quando inesorabilmente il nuovo busserà alle porte della nostra carriera. Immaginiamo una persona che tutti gli anni si dedica fuori dal contesto lavorativo ad apprendere qualcosa di nuovo: danza, chitarra, golf, francese, ecc. Questa persona sviluppa la capacità di stare nel «disagio del nuovo», di accettare l’imbarazzo del sentirsi ridicoli, goffi, inadeguati. La gestione del cambiamento infatti è un dato emotivo, non intellettuale. Se il mio lavoro non mi aiuta a stare nel “disagio del nuovo”, vivrò male il cambiamento che è iscritto inevitabilmente nel destino del mio percorso professionale, lo subirò.
3) Se non impariamo perdiamo capacità di imparare. Non è uno scioglilingua. Saper imparare è una competenza. L’apprendimento è un muscolo che se non sollecitato si atrofizza, in un processo che tende ad essere difficilmente reversibile. Il nostro cervello ha bisogno di essere alimentato con stimoli nuovi per continuare ad attivare efficacemente connessioni nuove e percorsi neuronali nuovi. Se il nostro lavoro non ci consente di vivere con una certa frequenza situazioni nuove in cui maturare competenze nuove dobbiamo valutare con urgenza la possibilità di cambiare. È un principio che anche solo 30 anni fa aveva un fondamento molto più fragile. Oggi invece e sempre con maggior forza domani questo principio di pianificazione di carriera diventa fondamentale perché la velocità, la pervasività e la “violenza”delle innovazioni è tale per cui nessuno di noi può dirsi confinato in un porto sicuro dove poter dire hic manebimus optime.

Cominciamo a pensarci seriamente con una domanda: «Quando è stata l’ultima volta in cui ho dovuto imparare a fare qualcosa per la prima volta?».

* Managing Partner della società di consulenza e formazione Sparring

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